Il ministero dell’Economia nei giorni scorsi ha reso noto che per le imprese fornitrici è stata avviata “la terza tranche delle risorse finanziarie aggiuntive che lo Stato mette a disposizione degli enti locali per il pagamento di debiti certi, liquidi ed esigibili maturati al 31/12/2012″. La dotazione finanziaria di questa terza tranche ammonterebbe a circa 1,8 miliardi di euro, assegnata agli enti locali in sede di ripartizione delle risorse stanziate per il 2014 dal decreto legge n. 102/2013, ma le ombre rimangono. Dopo l’intervista di ieri con Edoardo Boccalini, segretario nazionale INT, oggi abbiamo incontrato Paolo Galassi, presidente di Confapi Industria, l’associazione delle piccole e medie imprese manifatturiere e di servizio alla produzione.
Presidente Galassi, a proposito di debiti della Pa: sblocco o spot da campagna elettorale?
Le Pmi rappresentano a livello territoriale le prime fornitrici di servizi per Comuni, Province, Regioni, Asl e tutto ciò che costituisce la pubblica amministrazione. I ritardi nei pagamenti, che possono arrivare anche dopo due anni, creano disagi enormi. In tempi di crisi, e non solo, i ritardi possono costare la vita di un’impresa. Da un nostro sondaggio risulta che sei pmi su dieci hanno riscontrato un allungamento dei tempi medi per i pagamenti negli ultimi quattro anni e una su due denuncia ritardi superiori ai 12 mesi. Confapi Industria è molto attenta a questo problema e sta sensibilizzando il mondo politico sulla gravità della questione. La politica deve agire e in tempi brevi, non servono spot elettorali, imprenditori e lavoratori chiedono scelte rapide ed efficaci; infatti da una parte le imprese rischiano il fallimento, dall’altro i prezzi praticati potrebbero risentire del carico degli oneri finanziari che le imprese devono sopportare. In questo senso accelerare i pagamenti potrebbe anche far scendere i prezzi dei servizi, attivando un circolo virtuoso. La vera svolta sarebbe comunque sempre quella di accelerare i pagamenti, solo così le aziende potrebbero avere la liquidità per investire e davvero uscire dalla morsa del credito bancario.
Quali sarebbero i provvedimenti più urgenti per il bene delle piccole e medie imprese?
Difficile scegliere, dato il momento che stiamo attraversando, sono diversi i provvedimenti significativi e improcrastinabili. Agire sull’eccessiva fiscalità, ridurre il costo del lavoro per poter creare occupazione e rilanciare i consumi, ridurre e semplificare la burocrazia,aprire i rubinetti del credito bancario che restano chiusi, ampliare i margini di contribuzione ridotti di un mercato che è diventato quasi insostenibile, la difficoltà di competere a pari condizioni con le imprese estere, i continui aumenti nei costi delle materie prime sono macigni che gravano sulle pmi. Le aziende auspicano inoltre la riduzione della spesa pubblica, oltre al già citato sbocco dei debiti della Pubblica amministrazione e il rispetto della normativa Europea.
Da troppo tempo l’industria denuncia, infatti, la mancanza di una visione di insieme e la capacità della politica di dare vita a progetti a medio e lungo termine. Va attuato concretamente il rilancio della manifattura italiana.
Riforme sociali, rilancio dell’economia, consolidamento delle scelte a favore della libertà d’impresa devono essere le parole d’ordine. Nonostante le imprese mettano in campo nuove strategie, come l’ampliamento e il miglioramento della gamma dei prodotti, la razionalizzazione dei costi di produzione, la ricerca di nuovi canali, forme distributive e mercati di sbocco, una considerevole fascia di imprenditori (oltre il 43%) afferma che produzione, ordini, fatturato hanno registrato un calo negli ultimi mesi e che le prospettive non sono favorevoli. Altri dichiarano stabilità (36%). Pochi gli ottimisti. Ho voluto con qualche dato, tratto dall’indagine congiunturale di CONFAPI INDUSTRIA, dare il polso della situazione e il perché delle nostre richieste. Quello che più mi impressiona è la situazione delle pmi lombarde che, rispetto alla scorsa rilevazione congiunturale, è rimasta pressoché invariata. Questo ci dimostra che l’industria manifatturiera, pur continuando duramente a “tenere” e in qualche caso a “sopravvivere” stenta ancora ad uscire dalla crisi. Però, gli imprenditori continuano caparbiamente a sostenere e a sviluppare il proprio business, l’ottimismo innato lo aiuta nelle scelte quotidiane e nella pianificazione strategica.
Intanto nel primo trimestre dell’anno il Pil italiano è tornato a scendere, facendo indietreggiare l’economia di 14 anni, vanificando in un istante le aspettative su una ripresa ormai imminente…
Anche se tutti siamo chiamati a fare la nostra parte, il Governo dovrebbe stare in prima linea perché si tratta di una vera e propria emergenza sociale. Il mondo istituzionale dovrebbe darci delle risposte, perché questa condizione di disagio è terribilmente diffusa. Troppi parlano di ripresa, o di ripresina, ma ci vorranno anni prima che la nostra economia ritorni ad essere florida.
La capacità di resistenza delle imprese lombarde, provata da anni di andamenti negativi, è ai limiti.
Dobbiamo lavorare per la vera ripresa, per ottenere risultati concreti – creazione di posti di lavoro, riduzione della pressione fiscale, strategie chiare per le aziende – e vanno messe in campo politiche precise e condivisibili tese a sostenere le imprese, soprattutto quelle piccole e medie, che rappresentano il 97% del tessuto produttivo italiano e sono il vero motore di una crescita per l’intero Paese ancor prima che per la Lombardia. Lavorare per riattivare un circolo virtuoso nel mercato interno è la base per il rilancio del sistema: la ricchezza generata dalle imprese deve restare in Italia.
Jacopo MARCHESANO