Le buone notizie, per le imprese italiane, arrivano dall’ultimo rapporto Greenitaly, realizzato da Unioncamere e Symbola.
Il fatturato estero dell’industria italiana tra ottobre 2008 e giugno 2012, infatti, è cresciuto più di quello francese e tedesco.
Cosa significa ciò? Che sempre più stranieri scelgono il Made in Italy, anche al di fuori dei settori ormai noti come l’enogastronomia e il lusso.
Per fare un esempio concreto, il tessile tecnico italiano è quello maggiormente scelto in Cina. Le imprese locali, infatti, per centrare gli obiettivi imposti dal piano quinquennale del governo cinese sul risparmio energetico, acquistano macchinari progettati e assemblati nel Belpaese.
Secondo i dati del rapporto Greenitaly, le medie e grandi industrie italiane sono le più brave ad adattarsi velocemente alle esigenze dei clienti, e anche le più attente ai consumi.
Il mondo della green economy rappresenta, ad oggi, uno dei motori principali da cui ripartire per avviare una concreta ripresa.
Dal 2008 a oggi, sono 327mila, pari al 22% del totale, le aziende italiane che hanno scelto di investire nelle tecnologie green per ridurre il loro impatto ambientale e risparmiare energia.
Ciò porta a fare affari con l’estero, come accade alle imprese manifatturiere: il 42% delle imprese manifatturiere che hanno investito in eco-sostenibilità esportano, contro il 25 per cento di quelle che non lo fanno.
Ad essere maggiormente penalizzate sono le piccole realtà, perché la diffusione delle pratiche green è direttamente proporzionale alla capacità di investimento e alla facilità di accedere al sistema creditizio. Per questo motivo, si passa dal 18% delle micro-imprese con meno di dieci dipendenti, al 66% di quelle con più di cinquecento addetti.
Solo nei settori dove esistono norme o interessi particolarmente rilevanti per investire nel green, come quello chimico-petrolifero o della gomma plastica, si arriva al 30% anche tra le micro.
Piuttosto attive anche le piccole imprese di trasporti, logistica e comunicazione.
Tra i grandi, i valori di adesione superano il 90% nel settore cartario, chimico e metallurgico, anche se i settori più dinamici rimangono legno-arredo, tessile, ceramica, automotive, meccanica e chimica.
Ad oggi, coloro che svolgono un lavoro “green” sono più di 3 milioni, e anche quest’anno sono previsti ulteriori incrementi: su un totale di 563.400 assunzioni programmate nell’industria e nei servizi, circa 216.500 saranno nel settore green.
Nel 2013 le assunzioni “verdi“ sono state circa 52mila, più del 9 per cento del totale. Di queste circa 47mila non hanno carattere stagionale, mentre l’incidenza delle assunzioni a tempo indeterminato è del 52%.
Secondo il rapporto Greenitaly, nonostante la crisi abbia colpito tutti i profili professionali, le imprese cercano di salvare i posti di lavoro legati alla green economy, perché sono quelli “capaci di dare slancio all’attività, stare al passo con i tempi e permettere all’impresa di arricchire la propria immagine e la qualità dei servizi offerti“.
Tra i profili più richiesti, secondo i dati raccolti dal sistema informativo Excelsior, spiccano analisti e progettisti di software, che hanno il compito di predisporre i sistemi informatici necessari per gestire i sistemi ambientali ed ecologici.
Seguono gli operai specializzati in tecniche eco-sostenibili, come elettricisti delle costruzioni civili, meccanici, montatori di macchinari industriali e idraulici.
Altri profili invece sono più difficili da trovare: mancano all’appello specialisti in scienze economiche e ingegneri civili e meccanici.
Si iniziano anche a delineare le professioni più richieste del futuro, come l’ingegnere energetico e l’esperto di acquisti verdi, specializzato nell’individuazione di servizi a basso impatto ambientale, carpentieri del legno, bioarchitetti e chimici ambientali.
Vera MORETTI