Come ogni mese, il ministero dell’Economia comunica i dati relativi alle nuove partite Iva. Stando ai freddi numeri, a febbraio ne sono state aperte 50.915, con una riduzione dello 0,7% rispetto allo stesso mese dell’anno scorso. La quota relativa alle persone fisiche si attesta al 72,7% del totale, le società di capitali sono il 20%, le società di persone il 6,7%, mentre la quota dei cosiddetti “non residenti” e “altre forme giuridiche” sono solo lo 0,6%.
Rispetto al febbraio 2013, le nuove società di capitali sono le uniche che registrano un aumento (+11,5%), mentre calano le società di persone (-13,9%), così come le aperture intestate a persone fisiche (-2,3%)
Circa il 43% delle nuove partite Iva è al Nord, il 22,5% al Centro e il 34,5% al Sud ed Isole. Gli incrementi maggiori anno su anno si sono avuti nella Provincia Autonoma di Trento, in Calabria ed in Campania, mentre le flessioni più forti si sono registrate in Valle d’Aosta, Friuli e nella Provincia Autonoma di Bolzano. Il commercio continua a registrare il maggior numero di aperture di partite Iva pari al 23% del totale, seguito da attività professionali 16% ed edilizia 9,5%.
Detto questo, che cosa spinge una persona, oggi ad aprire una partita Iva, dal momento che la categoria pare godere di sempre meno tutele? Tralasciando il solito qualunquismo anacronistico di certa parte del sindacato (recentemente il segretario della Cgil Susanna Camusso ha parlato degli “evasori” che lavorano a partita Iva), va sottolineato come il recente Jobs Act del presidente del Consiglio Renzi abbia messo sul piatto la proposta di integrazione delle buste paga dei lavoratori dipendenti con 80 euro al mese e come questa misura sia stata fortemente criticata dall’Acta, l’associazione del terziario, per il fatto che ad usufruirne non siano anche i lavoratori indipendenti.
All’obiezione il ministro del lavoro Poletti ha risposto che il Jobs Act contiene misure per i precari delle partite Iva, quando si occupa della liberalizzazione dei contratti determinati (ossia agevolazioni fiscali per i primi tre anni di assunzione a tempo determinato) che dovrebbe portare alla diminuzione dei rapporti di dipendenza nascosti dietro false partite Iva. Un po’ poco per una figura, quella del partitivista, in continua evoluzione.
Chi lavora a partita Iva, oggi, è un imprenditore, un professionista, una falsa partita Iva ma anche un lavoratore indipendente spesso iscritto alla gestione separata Inps e, se giovane, inquadrato nel regime dei minimi. Una categoria per la quale la pressione fiscale è la stessa dei lavoratori, dipendenti ma senza le medesime tutele. E parliamo di circa 1 milione e mezzo di persone.
Delle 527mila partite Iva aperte nel 2013, il 78.4% è relativo a a persone fisiche e di queste il 50% si riconduce ad under 35. Un fenomeno, quindi da considerare in tutta la sua urgenza, visto che la regolarizzazione di questa categoria di partite Iva deve necessariamente vedere una equiparazione da parte dell’Inps a quella dei lavoratori dipendenti (aliquota media a carico del lavoratore del 9,2%) oltre all’introduzione del salario minimo, stimato sulla base del malefico Ddl Fornero, a 18mila euro lordi annui.
Sicuri che il popolo delle partite Iva possa essere ancora per tanto tempo dimenticato e lasciato a se stesso?