Il lusso Made in Italy sembra inarrestabile, soprattutto nei confronti dei mercati esteri, sempre più attratti dai prodotti provenienti del Belpaese, senza esclusione di zona.
Se, infatti, fanno da traino all’export italiano le richieste provenienti da Stati Uniti, Germania e Inghilterra, hanno molto da dire in proposito anche i mercati, ormai non troppo emergenti, di Russia, Corea del Sud e Giappone, con Brasile e Cina in sostanziale ascesa.
Di questo ed altro si è parlato durante il convegno organizzato a Firenze dalla società di revisione contabile e assistenza fiscale internazionale Ernest & Young, che ha creato un dipartimento dedicato a moda e lusso.
Tra i relatori, era presente anche Carloalberto Corneliani, il quale ha dichiarato a proposito: “Io sono fermamente convinto che noi come Made in Italy possiamo occupare solo la fascia premium e lusso del mercato,che rappresenta il 15%. Con la crisi abbiamo perso un 85% del mercato nella fascia medio-bassa, in cui non possiamo più competere. Da noi il costo orario è intorno a 20 euro, in altri paesi, come la Bulgaria, è 5 euro“.
A queste parole ha fatto eco Claudio Marenzi, di Herno: “L’Italia è l’unico paese occidentale con una filiera produttiva intatta. Ma c’è bisogno di una legislazione europea per tutelare il Made in Italy“.
Senza internazionalizzazione non c’è crescita e esempio lampante è Santoni, che, investendo nell’export, sta registrando una crescita del 10-15% all’anno.
Invece si avvicina la possibilità reale della quotazione per la Stefano Ricci, confermata da Niccolò Ricci, AD della griffe: “Tre anni fa, passando un certo fatturato, abbiamo iniziato a parlare di una possibile quotazione in borsa e ora stiamo valutando per l’anno prossimo o il 2016. Non c’è una necessità, ma è più un discorso di valorizzazione dei primi 40 anni di un’azienda sana che cresce“.
Buone notizie anche sul fronte del fatturato del settore moda che dovrebbe chiudere il 2014 con un fatturato di 62 miliardi di euro (+5,4%), trainato dall’export che ha superato la quota del 50%.
C’è invece una certa sofferenza nel comparto delle aziende familiari: nel 1995 le aziende del settore a struttura familiare superavano il 70% del totale, mentre oggi la quota è al 30%. Quelle in salute che oggi sono alla seconda generazione sono il 30%, mentre quelle alla terza generazione sono solo il 15%.
Vera MORETTI