Dopo aver ospitato le opinioni di Mauro Bussoni, segretario generale Confesercenti, e di Dario Di Vico, giornalista de Il Corriere della Sera, in merito ai dati relativi alle nuove partite Iva aperte nel mese di febbraio, resi noti dal Mef sul finire della scorsa settimana, oggi abbiamo incontrato la portavoce del CNAI (Coordinamento Nazionale Associazioni Imprenditori), Manola Di Renzo, per concludere questa nostra settimana dedicata al mondo dei partitivisti.
Dott.ssa Di Renzi, nei giorni scorsi il ministero dell’Economia ha reso noti i dati relativi alle nuove partite Iva aperte nel mese di febbraio (circa 51.000), come leggere questo dato?
E’ un valore significativo che si presta a molteplici osservazioni, una ad esempio, il numero ancora elevato di partite iva che vengono chiuse quotidianamente. All’apertura di nuove attività si oppongono anche tante cessazioni, e analizzando i dati, notiamo che le nuove aperture riguardano lavori inerenti le attività professionali. Mentre il numero delle partite iva sale di contro il numero delle assunzioni scende, quindi tanti disoccupati cercano di entrare nel mercato del lavoro autonomamente. Non possiamo parlare della nascita di nuove aziende, forse più della voglia dei giovani di “fare qualcosa”. Molti tentano ad aprire una partita iva, dicendola meglio, provano ad improntare un lavoro, però se ne osservassimo la vita media, vedremmo che una buona parte non supera il biennio. Con i mutamenti del mercato economico e l’aumento dell’offerta la partita si gioca sul piano delle competenze. Paradossalmente le partite iva aperte vent’anni fa sono ancora attive.
Il segretario generale della Confesercenti, Mauro Bussoni, ha sottolineato l’esigenza di una revisione fiscale per consentire almeno la sopravvivenza delle piccole e medie imprese…
Il CNAI concorda con la dichiarazione del segretario generale di Confesercenti. Ormai per il fisco non c’è più differenza tra piccola media impresa e grande impresa, o tra impresa artigiana e commerciale, tutte vengono considerate nelle stesso modo, tralasciando aspetti peculiari delle diverse aziende che ne determinano la capacità di fari fronte al pagamento delle imposte.
Quanto è lontana la ripresa economica?
La ripresa economica è direttamente legata alle manovre politiche, finché non vi sarà un progetto a medio-lungo termine con una visione ampia delle problematiche legate al mondo del lavoro, difficilmente usciremo dalla crisi. Tanti singoli decreti omnibus non orientano verso una strada da percorrere, piuttosto non fanno che aumentare la stratificazione normativa e la burocrazia, in altre parole nuovi costi.
A proposito di «manovre politiche», come giudicate il decreto lavoro?
Dalla lettura della bozza del decreto lavoro, ancora suscettibile di molteplici variazioni, intuiamo che si continua ad aggirare il problema principale, la flessibilità in uscita. Si continua a focalizzare l’attenzione sul contratto a tempo determinato, tuttavia la tipologia contrattuale che non si riesce a rilanciare è il tempo indeterminato. Le imprese hanno sempre meno lavoratori stabili e sempre più addetti a tempo, con la conseguenza di risorse sempre meno fidelizzate e sempre più prive di competenze. Altro contratto che non si riesce a far volare alto è l’apprendistato. Purtroppo il crollo è avvenuto da quando la formazione è passata in mano alle Regioni, fino ad arrivare alla situazione odierna, le aziende secondo una ricerca condotta dal nostro Centro Studi si dimostrano ancora interessate ad assumere con contratto di apprendistato, ma mettendo sul piatto della bilancia costi responsabilità e rischi, preferiscono rinunciarvi. Parliamo di costi della retribuzione, di responsabilità inerenti la formazione e di rischi perché in caso di ispezione, l’azienda è consapevole di potersi trovare nella situazione di dover restituire le agevolazioni.
Jacopo MARCHESANO