di Davide SCHIOPPA
Autunno, tempo di tensioni sociali, manovre di stabilità, preparativi per il Natale e, soprattutto, tempo di vendemmia. Quello del vino è uno dei settori italiani a maggiore densità di piccole e medie imprese ed è un ambito nel quale, secondo una vulgata un po’ troppo ottimistica, la crisi si percepisce meno, mentre in realtà non sono poche le ombre che si allungano sull’enologia italiana.
C’è da dire, però, che a salvare nel complesso il settore dalle tempeste della crisi globale, nel mondo della vitivinicoltura contribuisce in maniera decisa quella regola propria dell’intero settore manifatturiero italiano secondo la quale le imprese maggiormente vocate all’export vedono salvaguardati in maniera più forte il loro business e i loro fatturati. E pochi prodotti come il vino, in Italia, hanno una fortissima proiezione sui mercati internazionali.
E, in effetti, nel 2012 l’export dei vini italiani è cresciuto del 6,5% in termini di fatturato, per un totale record di 4,7 miliardi di euro. Una cifra che vale il 50% del vino prodotto in Italia. Questo significa che la metà della produzione rimane sul mercato interno e, se i dati sono quelli dello scorso anno, ecco una delle ombre delle quali accennavamo all’inizio. Nel 2012, infatti, in Italia si sono versati 22,6 milioni di ettolitri in meno rispetto al 2011, pari a una flessione del 2%. Poca cosa, sembrerebbe. Ma nel Paese del vino, tanto poca non è.
Anche perché, come è tipico del tessuto produttivo italiano, la maggior parte delle cantine è costituita da realtà medio-piccole, capaci di darsi forza aggregandosi in consorzi e consorzietti ma incapaci di far valere il proprio peso in modo incisivo a livello nazionale e, soprattutto, incapaci di porsi sul mercato estero parlando una sola voce. Quando i nostri concorrenti più temibili, i francesi, sanno valorizzare e far passare come delle perle anche i vini più sfigati o, comunque, di minor pregio e qualità dei nostri. Basta parlare di “terroir” e tutto sembra un mondo magnifico…
Ecco perché vale la pena fare quattro passi tra botti e cantine per capire che aria tira e per capire, soprattutto, quanto rischiamo di perdere, come imprese, addetti e volumi, anche in un settore dove saremmo primi indiscussi al mondo. Alla faccia dei terroir.