di Davide PASSONI
E alla fine, l’aumento di un punto percentuale di Iva arrivò. Complice la crisi di governo, si accompagnerà a mazzate ulteriori per le imprese (aumento dell’Ires e dell’Irap per il 2013) e i cittadini (aumento delle accise sui carburanti).
Dire che lo sapevamo è fin troppo facile, non vogliamo passare per dei sensitivi da quattro soldi, ma era fin troppo scontato che sarebbe stato così. In un Paese che vive di tattica e non di strategia, nel quale la parola d’ordine non è “decidere” ma “rimandare”, sempre e comunque, era l’esito più scontato di questo tira e molla fatto sulla pelle dei contribuenti, imprese o privati che siano.
L’incremento delle accise sui carburanti sarà di 1,5 centesimi al litro fino a dicembre 2013 e poi fino al 15 febbraio 2015 di 2,5 2,5 centesimi al litro. Su Ires e Irap staremo a vedere. Secondo il testo della bozza del decreto legge che contiene le misure sull’Iva, la Cassa integrazione in deroga sarà rifinanziata per il 2013 con un’ulteriore somma di 330 milioni di euro “da ripartirsi tra le regioni”.
Come era prevedibile, le notizie sull’Iva hanno subito scatenato le associazioni dei consumatori. “Sono provvedimenti disastrosi – dice il Codacons – che avranno effetti pesantissimi sulle famiglie. Solo queste due misure determinerebbero, a regime, una stangata pari a 275 euro a famiglia: 66 euro circa per i maggiori costi complessivi legati ai rifornimenti di carburante; 209 euro per l’aumento dell’Iva dal 21 al 22%. Senza contare gli effetti indiretti sui prezzi al dettaglio, considerati arrotondamenti e aumento dei listini dei prodotti trasportati”.
Oltre alle famiglie, la cui capacità di spesa sarà ulteriormente depressa, anche le imprese non beneficeranno di certo di questo aumento, anzi. E allora siamo ancora qui a chiederci dove andremo a finire. Questa mossa di un governo che ha scelto di autodistruggersi dimostra ancora una volta come la classe dirigente e politica di questo Paese non ha una capacità di visione nemmeno di medio periodo. Non riesce a immaginare l’Italia di qui a 5, 10 anni, ha perso ormai da un ventennio abbondante una tensione e un’idea di futuro e di sviluppo, trascinando a fondo con sé la parte migliore e più produttiva del Paese.
Scegliendo ancora una volta di non decidere, l’Italia ha ancora una volta deciso di non voler crescere. Rimanda, rimanda in continuazione. Ma il tracollo del Paese, così, non si rimanda: lo si fa sempre più vicino.