Le calzature italiane, famose ed apprezzate in tutto il mondo per qualità e tradizione artigiana, stanno attraversando un periodo di “sofferenza”.
A mancare non è certo la creatività, né il pregio, che ancora rappresentano i simboli del lusso Made in Italy. Ciò che scarseggia sono i soldi, sempre meno nelle tasche dei potenziali acquirenti, a causa di una crisi ormai senza fine.
Per questo motivo, il settore ha registrato, nel periodo gennaio-aprile 2013, un calo degli ordini dello 0,9%, determinato da una flessione dell’8,7% della domanda interna, bilanciata solo in parte dal +3,6% dell’export.
Meglio in trasferta piuttosto che in casa? A quanto pare sì, come i dati diffusi da Assocalzaturifici hanno dimostrato.
Fra i paesi esteri che hanno sostenuto la domanda ci sono gli Stati Uniti (+42,2%), clienti affezionati ai prodotti Made in Italy, ma soprattutto i Paesi emergenti, tra i quali spiccano Russia (+49,2%), Giappone (+34,8%), ma soprattutto Cina e Hong Kong (+70,8%).
Nonostante queste percentuali siano in forte salita, il 2012 non è stato un anno positivo per il comparto calzaturiero, poiché ben 250 imprese sono state costrette a chiudere, a danno di 1.700 addetti.
Peggio sta andando l’anno in corso, poiché nei primi tre mesi del 2013 sono andati persi quasi altri 1.000 addetti e 83 calzaturifici, quasi uno al giorno.
Cleto Sagripanti, presidente di Assocalzaturifici, ha dichiarato: “Il dato dei consumi interni pone con forza la necessità di rilanciare la crescita nel nostro Paese. Le ricette le diciamo da tempo, così come le ripete Confindustria: l’alleggerimento della pressione fiscale eccessiva, a cui oggi si corre il rischio di dover aggiungere la fiscalità locale; l’iniezione di liquidità nel sistema, che seppure è presente non si trasmette alle imprese e ai cittadini; infine la modernizzazione della Pubblica Amministrazione, che oggi è una priorità perché il mondo è globalizzato e corre veloce“.
Vera MORETTI