Una domanda se la pongono in tanti da tempo, famiglie e imprese. Se la Banca Centrale Europea ha prestato denaro alle banche a un tasso all’1% tra il 2011 e il 2012 per una cifra totale di circa 250 miliardi, che fine hanno fatto? Sono rimasti lì o sono serviti per acquistare titoli di Stato e obbligazioni bancarie. Altra domanda. Se le medesime banche hanno ricevuto denaro a quei tassi, perché a imprese e famiglie poi lo riprestano a tassi 6-7 volte maggiori?
Di fatto, le banche italiane possiedono oggi circa 390 miliardi di bond governativi che hanno permesso loro di guadagnare non poco, considerando il differenziale di rendimento tra l’1% a cui hanno ricevuto i soldi dalla Bce e il 3-4% di rendita dei BTp. Una tendenza che per le banche si è dimostrata comoda e remunerativa, assai più che il finanziamento delle imprese, a causa dell’accumularsi delle sofferenze bancarie. E così si è chiuso il flusso del denaro verso le aziende.
Sono circa 127 i miliardi di crediti a rischio accumulati dagli istituti, i quali, perciò, non vogliono prestare nuovi soldi alle imprese, men che meno alle Pmi, per non stressare ulteriormente il loro smaltimento e affaticare i bilanci. Insomma, più la recessione si fa dura, più cresce il rischio per le banche e, di conseguenza, il costo al quale erogano il credito, più la stretta sul credito si fa stringente.
In più, c’è i grandissimo problema rappresentato dal divario dei tassi applicati dalle banche. Se il tasso medio sugli impieghi è del 3,4%, per i prestiti fino al milione di euro si sale al 4,4%; una percentuale che, per durate da 1 a 5 anni, tocca persino il 6%. Una percentuale nella quale ricade circa l’80% delle imprese italiane le quali si mangiano ulteriormente le mani se pensano che oggi il tasso Bce è allo 0,5%. Se poi si considera che le banche marginano parecchio nella raccolta del denaro (secondo l’Abi il tasso per la raccolta da clientela è al 2,03%) la domanda si trasforma in certezza e monta la rabbia: il denaro costa relativamente poco, rincara nel passaggio dalle banche alle imprese.
Alla faccia poi di chi dice che lo spread è solo una trovata economico-elettorale per cacciare o richiamare governi, ricordiamo che il maggior costo che le imprese, in Italia, sostengono per indebitarsi con le banche va a tutto svantaggio competitivo per loro rispetto alle concorrenti estere. Per esempio, tra Italia e Germania il differenziale di rischio/rendimento e il rischio conseguente di credito è, secondo uno studio di Morgan Stanley, di 300 punti base, vale a dire del 3% in più a sfavore dell’impresa italiana. Indovinate chi ci smena… E poi ci vengono a dire che la banca è amica dell’impresa…