Credit crunch: spada di Damocle per le imprese italiane

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Unioncamere ha effettuato un’indagine per capire come si sta evolvendo il rapporto tra le banche e le imprese italiane.
Ciò che è emerso è preoccupante e riguarda anche le imprese esportatrici.

Se, infatti, finora erano state risparmiate dal razionamento del credito, ora il credit crunch è diventato un temibile nemico anche per loro, segnale che la crisi è tutt’altro che diminuita, come ha confermato anche Ferruccio Dardanello, presidente di Unioncamere: “La crisi che ancora attanaglia il Paese e la legittima domanda di credito delle imprese hanno bisogno di risposte che non possono essere più rinviate. E’ indispensabile una visione che chiami in causa un sistema integrato di garanzia dove operatori pubblici e privati lavorino in sinergia”.

La flessione dell’erogazione di credito bancario che ha interessato il periodo tra giugno 2011 e giugno 2012 è pari al 2,5% ed ha portato gli impieghi del settore produttivo ad una contrazione da 1.003 a 978 miliardi di euro.
Se, da un lato, la concessione di crediti è diminuita, soprattutto al Nord, sia nelle regioni orientali (-3,1%) che occidentali (-3,4%), dall’altro è aumentata la rischiosità del credito in tutto il Paese.
In particolare, il volume delle sofferenze delle imprese è passato da circa 73 miliardi di euro di giugno 2011 ad oltre 85 miliardi a giugno 2012 (+16,4%).

Un altro dato allarmante, che si basa su un campione di 2.500 aziende su tutto il territorio nazionale, mostra che meno della metà delle imprese riesce sempre a far fronte al proprio fabbisogno finanziario: il 49,3% dichiara di poterlo fare, ma a volte con difficoltà o ritardo.

La causa principale di ciò è la riduzione del fatturato, ma anche la presenza di entrate irregolari o imprevedibili, oppure sicure ma in ritardo.
Proprio la difficoltà nel far quadrare i conti ha portato il 25,6% delle imprese a rivolgersi con più assiduità alle banche, anche se ciò non ha certo portato ad un incremento dell’ammontare del credito.
Ad ottenere quanto richiesto è stato solo il 13,9% delle imprese.

Per far fronte alla mancanza di liquidità, sono arrivati a sostegno delle pmi i contributi a fondo perduto per l’incentivo dello sviluppo imprenditoriale e quelli in conto interessi per l’abbattimento degli oneri bancari.
Sono questi gli strumenti di sostegno che il sistema produttivo mostra di apprezzare di più. Il gradimento per questi strumenti nasce anche dalla mancata conoscenza delle misure di sostegno pubblico (in particolare i Fondi di garanzia per i pagamenti della PA e i Fondi di rotazione per la patrimonializzazione delle aziende).

Alto anche il consenso all’attività dei consorzi di garanzia fidi (il 77,5% delle imprese interpellate si dichiara infatti soddisfatto dell’attività dei Confidi), senza i quali, afferma il 28% del campione, non sarebbe stato possibile ottenere il finanziamento bancario richiesto.
I Confidi inoltre, per il 15,8% delle imprese, consentono di “spuntare” costi ed oneri più vantaggiosi, assicurano maggiore trasparenza nel rapporto con la banca (7,6%), e consentono di ridurre i tempi di attesa del finanziamento (8,6%).

Anche il comparto agrario è in grave affanno e anche in questo settore il credit crunch si fa sentire.
A confermare questa preoccupante tendenza è Cia-Confederazione italiana agricoltori, che ha commentato i dati resi noti da Ismea, che segnalano una flessione di oltre il 22% del credito agrario nel 2012, pari in termini assoluti a 613 milioni in meno assegnati nell’anno alle aziende del comparto.

Era dal 2008 che non si registravano valori così bassi, e colpevoli di ciò, oltre la difficoltà di accesso al credito, sono l’introduzione dell’Imu e i sempre maggiori obblighi fiscali.
A queste problematiche si aggiungono l’aumento dei costi produttivi e la stretta creditizia, che costringono le aziende a ridurre gli investimenti e l’innovazione, ma fanno sempre più fatica a pagare salari e fornitori.

E quando la situazione diventa insostenibile, le imprese, soprattutto se piccole, sono costrette ad alzare bandiera bianca e chiudere: soltanto nel 2012 l’agricoltura ha perso 17 mila imprese, schiacciate dall’impossibilità di far fronte agli oneri tributari e contributivi, ma soprattutto ai rincari di tutte le principali voci di spesa agricole.

Vera MORETTI