Per alcune categorie la Tares, “figlia” della vecchia Tarsu, costerà il 50% in più.
La nuova tassa sui rifiuti entrata in vigore dall’1 gennaio, infatti, sembra particolarmente onerosa per le aziende dei settori dell’ortofrutta, bar, mense e ristoranti, in tutto circa 360mila imprese.
Questo perché la Tares, per stabilire l’importo da pagare, tenga conto delle categorie a maggior contenuto “potenzialmente inquinante”.
Se non raggiungeranno il 50%, ci andranno vicino anche le scuole e le case di cura che, invece, fino ad oggi avevano beneficato di tariffe molto contenute.
Ad avvantaggiarsi della redistribuzione del carico tributario, invece, saranno le attività considerate a bassa producibilità di rifiuto tra le quali i cinema, le autorimesse, gli espositori, le banche, i negozi e le attività industriali e artigianali.
Ma a fare la differenza sarà anche un secondo componente, che riguarda i servizi comunali indivisibili, come illuminazione pubblica, manutenzione delle strade e del verde, polizia locale, che dal 1° gennaio sono inclusi nella Tares.
A seconda dell’efficienza di gestione, da parte dei comuni, di questi servizi, la tassa sui rifiuti aumenterà sostanzialmente o meno.
Ferruccio Dardanello, presidente di Unioncamere, ha dichiarato a proposito: “La Tares è un tassello importante nell’attuazione del federalismo fiscale e deve portare ad una forte responsabilizzazione degli enti locali per una gestione più efficiente delle risorse e per una maggiore trasparenza delle tariffe. La logica europea secondo cui paga di più chi produce più rifiuti deve servire per passare da una mera gestione delle tariffe locali ad una in cui le tariffe diventano una leva capace di incentivare i comportamenti più virtuosi e penalizzare, invece, quelli più nocivi e meno sostenibili. Per fare questo, però, serve un salto di qualità nelle capacità di monitoraggio e di gestione da parte dei comuni, perché siano individuati criteri più realistici e meno presuntivi rispetto all’effettiva produzione di rifiuti. Nella situazione in cui siamo, ogni aggravio di costi per le imprese rischia di peggiorare le prospettive della ripresa e minacciare ancora di più la tenuta dei territori e dei livelli occupazionali”.
Vera MORETTI