di Davide PASSONI
Un anno difficile ce lo siamo lasciati alle spalle, ma quello che è appena cominciato ha preso il via sotto il segno dell’incertezza, specialmente in ambito economico. C’è chi parla di ripresa nel secondo semestre, chi ipotizza invece un 2013 ancora con il segno meno, chi si spinge a prevedere un’economia in crescita non prima del 2014.
Insomma, un anno ancora tutto da decifrare per le piccole imprese italiane, ma con qualche piccola certezza. Una di queste riguarda alcuni settori che, nella crisi, si sono difesi e si stanno difendendo meglio di altri. Il settore del green, per esempio. Un ambito che, come ben evidenziato dal recente rapporto GreenItaly 2012, ha un alto tasso di imprese che assumono, si sviluppano, crescono a due cifre ma, soprattutto, producono innovazione e creano ricchezza in modo quasi uniforme sul territorio italiano, dal Nord al tanto bistrattato Sud, dove pare così difficile fare impresa.
Bisogna però fare attenzione a non interpretare il green in azienda solo come una moda o come un’esclusiva chiave di business. Essere green, oggi, per una piccola azienda o un laboratorio artigiano non significa solo realizzare prodotti e manufatti ecocompatibili o creati con materiali di recupero; certo, dal punto di vista del profitto questo è ciò che porta fatturato, ma che senso ha realizzare prodotti altamente ecologici quando in azienda, magari, non si effettua la raccolta differenziata, non si spengono i computer in pausa pranzo, non si utilizza carta riciclata per copie e documenti?
Durante questa settimana cercheremo di fare il punto su come è messa la Pmi green in Italia, quali sono gli ambiti maggiormente promettenti per creare un business verde di successo e, soprattutto, quali gli errori da non fare per evitare che il sogno di lavorare nel campo delle tecnologie verdi diventi un incubo con la prospettiva del fallimento. Perché, lo ripetiamo, riempirsi la bocca con il green non ha senso se non si è in possesso di una chiara idea di business.