Non serve aspettare il 17 dicembre, data di scadenza per il saldo dell’Imu, per fare i conti su quanto questa nuova tassa porterà nelle casse dello Stato.
Confesercenti, infatti, ha previsto che, dai 18 miliardi previsti, l’Imu darà un gettito di oltre 23 miliardi, ovvero quasi il doppio dei proventi assicurati dall’Ici.
Ad essere più colpiti, dalla nuova imposta, sono stati negozianti e botteghe, che hanno dovuto vedersela con un prelievo pari a 1,8 miliardi, ossia 1.050 milioni in più rispetto ai 700 milioni derivanti dalla vecchia Ici.
Si tratta di quasi due milioni di unità immobiliari che al Catasto sono censiti come categoria C1 e che per l’80% sono di proprietà di persone fisiche, per metà utilizzati direttamente e per l’altra metà detenuti in locazione.
Ad accrescere la tassazione Imu su negozi e botteghe hanno contribuito tre fattori:
- L’aumento di base imponibile per effetto del più elevato coefficiente (55 invece del 34 previsto per l’Ici) da applicare alla rendita catastale rivalutata. Da solo, tale “adeguamento” spiega quasi il 62% dell’aumento rispetto a quanto pagato in precedenza a titolo di Ici;
- L’aumento dell’aliquota standard fissata ai fini IMU (0,76% rispetto allo 0,664% dell’aliquota media ICI nazionale), che spiega un altro 14%;
- L’ulteriore aumento di aliquota deciso da ciascun Comune nell’ambito delle facoltà accordate dal legislatore (aumento o riduzione dell’aliquota ordinaria in misura pari allo 0,30%). La grande maggioranza dei Comuni capoluoghi di provincia ha optato per gli aumenti e ciò ha portato ad una lievitazione dell’aliquota complessiva, dallo 0,76% standard allo 0,97% dell’aliquota effettiva media.
Tutto ciò sta a significare che sugli immobili strumentali all’attività imprenditoriale grava a partire dal 2012 un prelievo immobiliare pari a 2,4 volte (+ 140%) quello dell’Ici, che si scarica in larghissima parte (oltre i 2/3) sulle pmi, non solo su quelle che sono proprietarie dell’immobile in cui svolgono la propria attività ma anche su quelle che conducono l’immobile in locazione e che si vedranno aumentare il canone dal proprietario colpito dall’Imu.
L’aumento dell’Imu è dovuto anche alla scelta di riservare allo Stato una parte consistente del gettito, ovvero la metà di quanto ricavato dagli immobili diversi dall’abitazione principale – ivi compresi locali, uffici, negozi, botteghe – sulla base dell’aliquota dello 0,76%.
Una scelta che devia quella che sarebbe la natura d’imposta locale dell’Imu e che finisce per dirottare sull’Erario centrale un gettito consistente: oltre 9 dei 23 miliardi di gettito complessivo; circa 700 milioni, sui 1.800 pagati dalle pmi.
Questa particolarità rende “asimmetrica” la facoltà di variare l’aliquota accordata ai Comuni che, infatti:
- sono frenati dall’apportare riduzioni che, secondo la legge, si scaricherebbe solo sulla loro quota (essendo “intoccabile” la quota dello Stato);
- sono incentivati a maggiorare l’aliquota dell’Imu, considerato che il maggior gettito va interamente al Comune stesso. Peraltro, non vanno sottovalutati i rischi di concorrenza fiscale dannosa fra Comuni derivanti da una diversità territoriale di aliquote sugli immobili destinati all’attività imprenditoriale.
Regioni ed Enti Locali, al contrario, dovrebbero concentrarsi sulla riduzione di spesa come si chiede allo Stato. L’esigenza di contenere un prelievo sulle attività produttive rivelatosi più pesante del previsto si combina con l’opportunità di rivedere la distribuzione delle competenze Comuni/Stato nella tassazione degli immobili.
In particolare, si potrebbe nell’immediato, “azzerare” gli aumenti Imu su negozi, botteghe e locali destinati ad attività produttive deliberati per l’anno 2012 dai Comuni, rispetto all’aliquota standard dello 0,76% fissata dal legislatore. Si tratta di circa 400 milioni che gli operatori economici potranno defalcare da quanto dovuto in sede di versamento del saldo (17 dicembre) ovvero, visti i tempi ormai ristretti, recuperare in sede di versamento della prima rata 2013, utilizzando un apposito credito d’imposta.
Vera MORETTI