di Davide PASSONI
Paolo Buzzetti, presidente di Ance, è una persona abituata a parlare chiaro: pane al pane, vino al vino. E in un momento come questo, nel quale l’edilizia soffre forse più di altri settori le mazzate della crisi, dire le cose come stanno serve a non nascondersi e aiuta a trovare soluzioni. Non ci credete? Leggete l’intervista che ha rilasciato a Infoiva: capirete molte cose…
I numeri parlano da soli: la crisi del settore edile in Italia vale 72 Ilva. Perché c’è silenzio su questa strage?
Quello che sta accadendo all’edilizia è drammatico: siamo di fronte a una vera e propria deindustrializzazione del settore, con un calo vertiginoso degli investimenti e della produzione, scesa ai livelli più bassi degli ultimi 40 anni. Tutto ciò si è tradotto, purtroppo, in 360 mila persone lasciate a casa, che diventano 550 mila se si considera tutta la filiera del settore. Cifre che lasciano senza fiato. Ma ha detto bene: questa perdita, paragonabile a 72 Ilva di Taranto, 450 Alcoa o 277 Termini Imerese, avviene nel silenzio generale perché si tratta di posti che sono andati via alla spicciolata, pochi alla volta, senza visibilità e clamore mediatico. Eppure l’emergenza sociale è fortissima, tocca le famiglie sia degli operai che degli impiegati e dei professionisti che lavoravano da anni nelle nostre imprese.
Come è potuto accadere che un settore anticiclico per eccellenza come il vostro sia diventato così pesantemente prociclico?
E’ vero, sono lontani i tempi in cui si poteva dire “quando l’edilizia va, tutto va”, quando, cioè, era evidente il ruolo di sostegno alla domanda prodotto dagli investimenti in costruzioni che, vale la pena ricordarlo, possono vantare il maggior effetto moltiplicativo sull’intera economia rispetto a qualsiasi altro settore. Ora non è più così, perché invece di immettere liquidità nel sistema delle costruzioni ed osservare l’effetto positivo sul reddito si è preferito togliere le risorse al settore, ad esempio ritardando i pagamenti alle imprese, dimezzando le risorse per nuove infrastrutture o, infine, favorendo il credit crunch praticato dalle banche nei confronti delle imprese e delle famiglie italiane.
Non è un caso che nel 2012 si siano dimezzate le richieste di mutui per la casa: che cosa pensa di questo crollo?
Indubbiamente, soprattutto nell’ultimo anno, si è verificato un forte ridimensionamento delle compravendite, ma non si tratta di un problema di domanda. Il fabbisogno di casa in Italia è ancora forte, pari a circa 600 mila unità se mettiamo a confronto il numero di abitazioni costruite e quello di nuovi nuclei familiari. Quello che si è inceppato è, invece, soprattutto il circuito del credito, che rende estremamente difficile alle famiglie accedere ai finanziamenti per la casa. Per questo motivo i mutui erogati si sono quasi dimezzati e, tra inasprimento del carico fiscale derivante dall’Imu e forte incertezza legata alla crisi economica, la casa, bene primario per gli italiani, rischia di apparire come un lusso. Ma le soluzioni esistono. Noi, come Ance, abbiamo avanzato una proposta concreta, un “piano salva-casa” che si rifà all’esperienza virtuosa delle cartelle fondiarie del dopoguerra, con le quali sono stati compiuti i maggiori investimenti immobiliari del nostro Paese.
Banche, pubblica amministrazione, politica, burocrazia: chi ha più colpe in tutto questo? Ci siamo dimenticati di qualcuno?
La colpa è di tutti e di nessuno. In realtà la crisi non solo ha colpito duramente tutto il funzionamento del sistema economico, ma ha reso ancora più evidenti lentezze e difficoltà della nostra macchina Paese. In particolare la burocrazia opprimente, che dilata e rende inaccettabili i tempi di realizzazione delle opere, ostacolando l’attività degli imprenditori corretti che si trovano ad operare tra mille difficoltà e soffocati da una giungla di norme spesso ridondanti e contraddittorie.
Trovare colpevoli non basta, bisogna trovare soluzioni: che cosa serve per uscire dalla palude?
Per prima cosa ridare fiato alle imprese e restituire alle famiglie serenità e fiducia nel futuro. Come Ance abbiamo individuato una serie di proposte concrete con le quali vogliamo contribuire alla ripresa dell’economia e all’avvio di una crescita duratura. Innanzitutto crediamo che sia necessario mettere mano a un piano di messa in sicurezza del territorio, che significa anche e soprattutto adeguare il patrimonio edilizio esistente, a partire da scuole e ospedali. Fondamentale, in questo momento così difficile, è anche dare concretezza al Piano città, che l’Ance ha proposto e che ha trovato corpo nel primo decreto sviluppo. Non ultimi i pagamenti dovuti alle imprese da parte della p.a. Se guardiamo fuori dall’Italia ci accorgiamo che i nostri partner europei, come Francia e Germania, ad esempio, stanno già sperimentando con successo politiche e incentivi mirati per la crescita degli investimenti in costruzioni, soprattutto nel mercato residenziale e della riqualificazione urbana.
Un messaggio di speranza – se le riesce… – per i suoi associati in vista dell’anno nuovo.
Continuare a credere con forza e dignità nel proprio lavoro, non arrendersi. L’edilizia non può e non deve essere destinata a morire perché è stata per anni la benzina che ha fatto muovere l’economia del Paese e oggi può fare ancora tanto, non solo per contribuire alla ripresa, ma anche per dare risposte concrete ai più importanti bisogni dei cittadini: casa, sicurezza delle scuole e del territorio, città più efficienti e vivibili.