Pmi italiane poco attente alla “nuvola”

di Davide PASSONI

Con la crisi che stiamo attraversando, le piccole imprese sono sempre più attente ai costi, specialmente per quello che riguarda la loro struttura IT. Una soluzione che unisce flessibilità, scalabilità e costi di gestione contenuti è il cloud computing, purtroppo, però, ancora poco conosciuto in Italia tra le Pmi. Al recente Smau ne abbiamo parlato Stefano Sordi, direttore marketing di Aruba, uno dei maggiori player italiani nel campo del cloud.

Il cloud computing e le Pmi: un matrimonio che “s’ha da fare”…
Aruba sta concentrando tutti i propri sforzi nel supportare la crescita di uno dei prodotti in cui crede di più, appunto il cloud computing. Attualmente questo prodotto viene fruito dagli utenti tramite cloud.it e riteniamo che sia particolarmente vantaggioso e adatto a realtà di piccole dimensioni o che stanno per iniziare la loro avventura d’impresa.

Perché?
Perché il cloud computing è flessibile e scalabile e, se ben realizzato, è per le Pmi e le start up la porta di accesso a una serie di servizi che fino a poco tempo fa erano appannaggio esclusivo di grandi imprese o della Pubblica Amministrazione; realtà che hanno budget e competenze enormi, che consentono loro di creare soluzioni e architetture praticamente infinite per supportare il business.

Il contrario di una piccola impresa…
Il cloud computing dà la possibilità di pagare solo ciò che si usa per il tempo in cui lo si usa e permette alle piccole imprese di implementare soluzioni e di non pagarle fino a quando non vengono utilizzate. Tutta la complessità che sta dietro alla implementazione di un’architettura tecnologica IT “classica” col cloud è superata, perché l’apparato è gestito interamente da chi eroga il servizio; l’impresa, con pochi soldi – nell’ordine di un migliaio di euro – può creare una infrastruttura IT piccola, flessibile, lasciando la gestione della sua complessità al gestore e concentrandosi solo sul proprio business.

E se il business cala?
Se dovessero cambiare gli scenari di mercato e l’impresa fosse costretta a ridurre gli investimenti, col cloud computing lo potrebbe fare facilmente; in un periodo di contrazione dell’economia, un’impresa che volesse fare dei downgrade alla propria infrastruttura IT classica sarebbe in forte difficoltà, col cloud computing si limiterà a ridurre il carico di utilizzo fino al livello necessario, persino, se serve, lasciando la struttura quiescente fino a che non la vorrà riattivare. Penso sia importante far capire all’impresa che il cloud può consentire al business di crescere anche rapidamente e in maniera esponenziale.

C’è in Italia una cultura del cloud?
In termini di impresa, quelle grandi sono più pronte e hanno già iniziato a investire in queste risorse perché le infrastrutture che possiedono, in generale, sono piuttosto rigide per seguire le trasformazioni dei mercati come sono fatti oggi. Hanno capito che serve maggiore flessibilità e buona parte di loro ha implementato soluzioni cloud.

Le Pmi? Faticano?
Le Pmi sono rimaste un poco indietro, come è lecito aspettarsi. Siamo intorno a un 20% che utilizza soluzioni cloud. Tuttavia, nonostante il ritardo, noi di Aruba stiamo registrando da giugno un incremento di utilizzo del cloud da parte delle Pmi, non solo in termini di attivazioni nette ma anche e soprattutto da parte di  piccole imprese che cominciano a usarlo costantemente dopo aver “rodato” l’infrastruttura per qualche settimana o mese. Questo ci risulta perché il numero medio delle macchine virtuali attivate in questi mesi è cresciuto da 1 a oltre 2: vuol dire che le imprese cominciano a creare piccole infrastrutture aziendali.

Chi dovrebbe diffondere la cultura del cloud in Italia? Chi se ne occupa, i ministeri… chi?
Un insieme di queste figure: operatori, servizi pubblici, imprese che siano più portate a osare nell’ambito tecnologico. Credo comunque che l’onere maggiore sia in capo agli operatori, non tanto in termini di comunicazione ma di crescita e sviluppo dell’offerta

Ossia?
Se un operatore, oggi, si limita a produrre servizi, applicazioni e pensa di avere fatto tutto il necessario per diffondere la cultura del cloud, ha fatto un buco nell’acqua perché ha fornito solo una piattaforma invece che costruire una “città”. Un operatore di primo livello deve spiegare come si utilizza la tecnologia, lavorare come opinion leader e inventare soluzioni con i propri partner per arrivare a fornire non solo spazio disco ma servizi a 360 gradi.

L’Ict italiano frena ma, tutto sommato, meno di altri settori dell’economia. Per chi lavora nella new economy, quanto conta, in termini di investimenti e di prospettive, stare in un settore che pare anticiclico?
Come Aruba stiamo dando una risposta pragmatica alla situazione di mercato: c’è contrazione e noi investiamo, non tanto perché vediamo un’opportunità fine a se stessa, ma perché pensiamo che in un momento di crisi le aziende sentano di più l’esigenza di usare tecnologie che consentano loro di “scalare” verso il basso, nell’attesa della ripresa. Un’esigenza soddisfatta dal cloud.

Anche questo è diffondere cultura d’impresa…
Noi ora investiamo per dimostrare che è adesso il momento di scegliere, di sviluppare. Tutte le grandi aziende viaggiano col freno a mano tirato, aspettando di capire come andrà domani; noi non siamo miopi e, visto che la nostra azienda è solida, pensiamo sia strategicamente sbagliato non investire ora, perché investendo ci garantiamo un vantaggio competitivo alla ripartenza dell’economia. Investendo, oltretutto, in una tecnologia che è vista come la soluzione a tanti problemi che la crisi porta con sé.