di Davide SCHIOPPA
Da queste pagine non siamo soliti lanciare allarmi o fosche previsioni sullo stato della piccola impresa in Italia. Cerchiamo di limitarci a leggere i dati, anche quando questi non sono incoraggianti (cosa che accade spesso in un periodo come questo…), proponendoli ai lettori per invitarli a riflettere. Una delle nostre missioni è quella della positività, non forzata e non a tutti i costi; per cui, se oggi vi parliamo delle imprese che muoiono, non lo facciamo per venire meno a questa missione, ma per cercare di andare al di là della notizia e capire perché le nostre imprese stentano a sopravvivere.
Tanto per cambiare, i dati di cui parliamo oggi arrivano dall’ufficio studi della Cgia di Mestre e vale la pena arrivare subito al sodo: dal 2008, in Italia, sono fallite oltre 46mila imprese, una su tre per i ritardi dei pagamenti. Dall’inizio della crisi alla fine di giugno 2012, i fallimenti in Italia hanno sfiorato le 46.400 unità, dei quali poco meno di 14.400 a causa dell’impossibilità, da parte degli imprenditori, di incassare in tempi ragionevoli le proprie spettanze. La Cgia di Mestre ricorda anche che, secondo i dati di Intrum Justitia, la percentuale di aziende che in Europa falliscono a causa dei ritardi dei pagamenti è pari al 25% del totale. Siamo sopra la media, anche in questo caso un record poco invidiabile.
Se la crisi è l’accelerante di questo incendio che brucia il tessuto produttivo nazionale, non bisogna però dimenticare che, tra i principali Paesi dell’Unione europea, l’Italia è l’unico ad aver registrato, tra il 2008 e i primi mesi del 2012, un aumento dei tempi di pagamento: +8 giorni nelle transazioni commerciali tra le imprese private, +45 giorni nei rapporti tra Pubblica amministrazione ed imprese. E proprio in questo ultimo rapporto si annida lo scandalo, il cancro, il verme che rode l’impresa sana del nostro Paese. Le attività che lavorano per lo Stato centrale o per le autonomie locali si vedono pagare in media a 180 giorni, mentre in Francia le aziende vengono saldate dopo 65 giorni, in Gran Bretagna dopo 43, in Germania dopo 36 giorni. Tempo che le imprese non hanno: ogni giorno in più di ritardo è un centimetro di corda che si stringe intorno al collo delle aziende.
“Nonostante il Governo Monti abbia messo in campo alcune misure che entro la fine di quest’anno dovrebbero sbloccare una parte dei pagamenti che i privati avanzano dalla Pubblica amministrazione – commenta Giuseppe Bortolussi, segretario della Cgia di Mestre – è necessario che venga recepita quanto prima la Direttiva europea contro il ritardo nei pagamenti. La mancanza di liquidità sta facendo crescere il numero degli ‘sfiduciati’, ovvero di quegli imprenditori che hanno deciso di non ricorrere all’aiuto di una banca. Un segnale preoccupante che rischia di indurre molte aziende a rivolgersi a forme illegali di accesso al credito, con il pericolo che ciò dia luogo ad un incremento dell’usura e del numero di infiltrazioni malavitose nel nostro sistema economico“.
Che l’economia illegale non senta la crisi, è un dato che molti sottolineano. Facciamo in modo che non siano le imprese sane ad alimentare quelle malate. Ci verrebbe da dire “piuttosto meglio morire”, ma ci pare una conclusione di pessimo gusto.