Piccoli e potenti, compatti e incredibilmente versatili, smartphone e tablet stanno rivoluzionando nel profondo la nostra esperienza quotidiana in ambito professionale. La loro diffusione in azienda è avvenuta con straordinaria rapidità e pervasività e quindi, inevitabilmente, in modo spesso caotico e disordinato.
Si è venuta così a creare una situazione per certi versi contraddittoria, che vede le imprese, da un lato, tentare di regolamentare l’adozione degli smart device e, dall’altro, tollerare (se non addirittura promuovere) l’utilizzo dei dispositivi personali dei propri dipendenti come strumento di lavoro. È il cosiddetto fenomeno del BYOD, acronimo per “Bring Your Own Device”.
L’atteggiamento permissivo adottato da molti IT manager è dettato da un semplice calcolo utilitaristico: oltre ad un ovvio risparmio sui costi operativi, la possibilità di lavorare in remoto o in mobilità, in pressoché totale autonomia e indipendenza, si traduce in una maggiore produttività della forza lavoro e in una crescita del tasso di soddisfazione professionale.
Smartphone e tablet non vengono infatti utilizzati solo per telefonare o controllare le email, ma diventano una piattaforma evoluta attraverso la quale accedere a tutte le risorse IT aziendali, dalle soluzioni CRM ai sistemi di monitoraggio della spesa. Ecco perché, secondo una recente indagine condotta da Wakefield Research, già una società su tre ha modificato la propria policy IT per abbracciare il BYOD.
Spesso in ritardo nell’accogliere le novità in campo informatico e tecnologico, l’Italia questa volta è tra le nazioni più virtuose: indipendentemente dalle motivazioni alla base di tale scelta, ben il 63% delle imprese nostrane coinvolte nel sopraccitato studio (per lo più PMI) si sta già adoperando per integrare i dispositivi personali in azienda.
Tuttavia, non è tutto oro quel che è touch: nell’euforia del nuovo, infatti, molte società si sono lasciate abbagliare dalle enormi potenzialità degli smart device, senza valutare nella giusta misura le possibili controindicazioni di un approccio decentralizzato. Che purtroppo non mancano, per la disperazione di IT manager e CIO.
Il problema più grave riguarda senza dubbio la sicurezza dei dati corporate: secondo una ricerca condotta da Nokia Siemens Networks, l’89% degli utenti Pc protegge il proprio notebook, mentre la percentuale crolla al 23% quando si parla di dispositivi mobile. Un dato preoccupante, soprattutto considerando la crescente minaccia del malware su queste piattaforme (ben 8600 nuove minacce individuate nei primi tre mesi del 2012).
Non sorprende quindi che siano in costante aumento anche i casi di data breach, ossia la perdita di informazioni sensibili causata dall’uso non protetto di smartphone e tablet da parte dei dipendenti: nel solo 2011 il costo medio per le imprese italiane è stato di circa 475mila euro, con una perdita stimata di 78 euro per ciascun file rubato.
Manuele MORO