Da quando c’è la crisi, gli operai stanno diventando sempre più intraprendenti. Continua ad aumentare il numero dei lavoratori di imprese in crisi, o a rischio chiusura, che scelgono di rilevare l’azienda, formando una cooperativa tra loro. “Il fenomeno è in crescita in questi ultimi anni”, racconta a Labitalia Aldo Soldi, direttore generale di Coopfond, il fondo mutualistico di Legacoop, che sostiene lo sviluppo delle cooperative nel sistema economico. “Nella nostra attività -spiega- c’è stata una forte accelerazione dal 2009 ad oggi, e così abbiamo contribuito a mettere in piedi una trentina di realtà aziendali”.
Imprese in cui “i lavoratori, o perchè l’azienda è andata in crisi, o perchè non c’è ricambio generazionale alla guida, decidono di rilevare la proprietà formando una cooperativa tra loro”. “E’ una scelta – aggiunge Soldi – che i lavoratori fanno per diversi motivi. Innanzitutto, per non perdere il posto di lavoro. Ma in molti casi abbiamo riscontrato che c’è anche la volontà di difendere la propria professionalità, il proprio saper fare. I settori in cui operano le aziende che sono rilevate dai lavoratori sono i più vari: si va dalla fabbricazione delle piastrelle fino a quella delle cravatte”.
Cambiano i settori, ma la prerogativa principale, nella maggior parte dei casi, resta la stessa: “Piccolo è meglio”. “Nella maggior parte dei casi -spiega Soldi- si tratta di imprese di tipo industriale, che non sono però tanto grandi, arrivano ad avere tra i 10 e i 50 dipendenti. E’ molto più difficile che operai e impiegati si trasformino in imprenditori di aziende molto grandi”.
Comunque, centrale per la nuova avventura di operai e impiegati è il ruolo di Coopfond: “Siamo un fondo che finanzia la nascita e lo sviluppo delle cooperative -sottolinea Soldi- con la concessione di prestiti ai lavoratori che creano la cooperativa, ma anche con la nostra entrata nel capitale sociale dell’azienda stessa, che è una scelta che riesce a dare fiducia sia ai lavoratori che alle banche e agli istituti di credito”. Ma per la buona riuscita dell’iniziativa, “oltre al nostro apporto finanziario, è fondamentale quello della struttura associativa della Lega delle Cooperative, e poi naturalmente -aggiunge- serve il contributo delle banche”.
Le risorse da mettere in campo per il ‘salvataggio’ della propria azienda da parte dei lavoratori-imprenditori variano comunque in base ai casi. “Dipende -spiega Soldi- da tante cose: dal tipo di attività, dalla grandezza dell’azienda, dalla condizione in cui si trova quando viene rilevata, e altri fattori. Di solito, comunque, si parte da un contributo di 200-300 mila euro che noi rilasciamo e a cui se ne vanno ad aggiungere altrettanti da parte dei lavoratori che rinunciano al proprio Tfr. Nella fase iniziale di nascita della cooperativa è importante il ruolo del sindacato, perchè, ad esempio, magari all’inizio della nuova avventura non tutti i lavoratori dell’azienda possono essere subito reimpiegati”.
Il fenomeno delle cooperative nate sulle ‘ceneri’ delle aziende si sta ampliando sempre più: “Nelle zone a tradizione cooperativa come Emilia Romagna e Toscana. Ma anche in Veneto, Lombardia e Lazio. Mentre fatica ancora nelle regioni del Sud”.