di Davide PASSONI
Questo scorcio di agosto ci sta riservando delle sorprese non belle per quanto riguarda la cosiddetta “economia reale“. Ossia l’unica, perché un’economia irreale non è un’economia e l’unica, vera economia che conosciamo noi di Infoiva è quella fatta di fatturati, mercati, commesse e, ahinoi, tassazione e fiscalità. Comunque, al di là dei punti di vista, l’allarme lanciato dall’Ufficio studi di Confartigianato è di quelli che mettono i brividi a quanti operano nel settore dell’edilizia e a quanti, con questo settore, hanno a che fare per comprare una casa: a maggio 2012 il tasso d’interesse sui prestiti alle famiglie si è attestato al 4,12% (+103% su un anno), il che porta gli italiani a sborsare il 30,9% del reddito per pagarsi i mutui. E per il settore, numeri ancora più cupi: crollo per le compravendite (-17,8%) e crisi nera per l’edilizia, che in un anno a perso quasi 100mila posti di lavoro (-97800).
La crisi, direte voi. Sì, ma non dimentichiamoci del fatto che la crisi non è come un fungo, che spunta in una notte sotto un pino, basta un po’ di umido… La crisi è qualcosa che una volta aveva a che fare con Lehman Brothers, ma che con il tempo è invece diventata un baco strutturale del sistema economico occidentale, specialmente europeo. Una crisi che affonda le sue radici nella debolezza dell’area Euro, una debolezza complessiva e specifica per ciascun Paese a seconda dei problemi che si porta dietro. L’Italia, si sa, a differenza degli altri anelli deboli dell’eurocatena (Spagna, Grecia, Portogallo e Irlanda) ha dei fondamentali solidi ma tre zavorre immani, che trascinerebbero a fondo i pochi mesi qualsiasi economia che non avesse i nostri fondamentali (e almeno per questo possiamo farci i complimenti): spesa pubblica, burocrazia, fisco.
E proprio queste zavorre tutte italiane sono alla base di questo momentaccio dell’edilizia. Se infatti, come sostiene Confartigianato, le cifre della crisi del mattone sono dovute agli scarsi investimenti pubblici e privati, i motivi di questi scarsi investimenti stanno proprio lì. Chi investe per costruire case con una burocrazia obesa nelle gestione delle pratiche edilizie e urbanistiche e con una fiscalità che si mangia i due terzi dei profitti? Chi investe per comprare casa se si trova di fronte a tassi pesantissimi richiesti dalle banche e una tassa come l‘Imu che, a detta di Adusbef e Federconsumatori, insieme all’aumento di tariffe, treni, carburanti, alimentari e libri scolastici, costerà alle famiglie italiane, in questo 2012, 2333 euro in più rispetto allo scorso anno?
I numeri sono numeri: tra giugno 2011 e giugno 2012 le imprese del settore edile, pari a 899.602, sono diminuite dell’1,36%. Tra queste, in calo dell’1,17% anche le imprese artigiane, che sono la fetta più consistente del settore edile: 577.588, il 64,2% del totale. Ragion per cui, tra giugno 2011 e marzo 2012 l’occupazione nell’edilizia è diminuita del 5,1%, pari a 97.800 posti di lavoro in meno.
Insomma, va bene la crisi, e va bene fare “i compiti a casa” per non essere sbattuti fuori dall’area euro, ma che cosa stiamo facendo come Italia per far ripartire la crescita? Che cosa stiamo facendo per far ripartire il settore edile, uno di quelli che è sempre stato il motore della ripresa nel nostro Paese dopo ogni crisi, bellica o economica che fosse? Se lo stanno chiedendo anche quelle 100mila persone che hanno perso il loro lavoro nel mattone. Forse, se hanno ancora voglia di porsi delle domande.