Passa dall’emersione del lavoro irregolare, dalla certificazione della qualità dei prodotti e dallo sviluppo il rilancio del distretto tessile di Prato.
Il Progetto Prato, articolato in sei linee di intervento, sarà finanziato da principio da 10 milioni di euro stanziati dalla Regione, mentre il resto dei fondi – almeno alcune decine di milioni – arriverà dall’Unione europea e da finanziamenti nazionali, che si aggiungeranno ai 25 milioni stanziati dal Governo Berlusconi nel 2010 per affrontare l’emergenza occupazionale.
Per quanto riguarda lo sviluppo, si parla di diversificazione del modello di business attraverso una spinta dei comparti tecnologici applicati al tessile tradizionale e il potenziamento della ricerca nel campo dei materiali e delle fibre, anche in collaborazione con Università e Governo cinesi.
Altri filoni di intervento puntano a incentivare chi deciderà di mettersi in regola: in provincia di Prato, infatti, è cresciuta una comunità asiatica tra le più grandi d’Europa, che conta quasi 40.000 persone – quasi la metà sono clandestine – e gestisce circa 4.000 aziende nel campo del tessile. Un distretto specializzato nei comparti dell’abbigliamento e parallelo a quello tessile degli italiani che ha 3.000 imprese, più di 17.000 addetti e 3,1 miliardi di ricavi, realizzati per oltre la metà sui mercati internazionali.
Non è tutto: Prato si candida anche a creare un soggetto di certificazione della qualità dei prodotti e un osservatorio sulla sicurezza fisica, chimica e dei processi produttivi nel sistema moda.
“Siamo pronti a dare il nostro contributo alla definizione dei contenuti del progetto – afferma Andrea Cavicchi, presidente dell’Unione industriale pratese – Serve sostanza manifatturiera, che aiuti il distretto nel suo insieme a ritrovare la giusta direzione, in una fase economica come questa, molto contrastata. Bisogna però avere la voglia di mettersi in gioco – sottolinea – Nei giorni scorsi ho visto pochi pratesi al Pitti Uomo: un errore, non si può essere passivi e aspettare, altrimenti c’è il rischio di rimanere tagliati fuori dai cambiamenti della moda”.
Francesca SCARABELLI