L’Iva sulle auto aziendali a uso promiscuo è detraibile solo se è dimostrata l’inerenza con l’attività d’impresa. Lo ha chiarito la Cassazione, con la sentenza 11943 del 13 luglio. La Corte ha così accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate nei confronti di una società che aveva chiesto il rimborso per l’Iva versata in occasione dell’acquisto di automezzi utilizzati dai dipendenti.
Il fatto
La vicenda concerne il silenzio–rifiuto opposto dall’ufficio finanziario sull’istanza di rimborso dell’Iva versata da una Spa per l’acquisto di alcuni automezzi dati in uso ai propri dipendenti.
La Commissione tributaria provinciale accoglieva il ricorso, con esito confermato anche in secondo grado. La Commissione regionale riteneva, in particolare, la fondatezza del diritto al rimborso sulla base della dichiarata illegittimità della norma relativa all’articolo 19-bis, lettere c) e d), Dpr 633/1972 (trattasi dell’imposta relativa all’acquisto o all’importazione di veicoli stradali a motore nonché all’acquisto o all’importazione di carburanti e lubrificanti destinati ad aeromobili, natanti da diporto e veicoli stradali a motore), per contrasto con l’ordinamento comunitario e con l’interpretazione fornita dalla Corte di giustizia Ce (sentenza causa C-228/05 del 14 settembre 2006). Sempre ad avviso della Commissione del riesame, nella richiesta del rimborso si appalesava corretto l’operato della società, che aveva provveduto alla fatturazione con applicazione del tributo Iva con percentuale del 100% per le autovetture concesse in uso promiscuo ai dipendenti, e con la percentuale forfettaria del 30% per quelle concesse ai dirigenti. L’ente impositore produceva ricorso per cassazione contestando – per violazione degli articoli 19 e 19-bis, comma 1, del Dpr 633/1972 – il fatto che era stata riconosciuta la spettanza del diritto al rimborso prescindendo dalla dimostrazione dell’inerenza dei beni con l’attività d’impresa esercitata dalla società.
La decisione
La Corte suprema, decidendo la vertenza, ha ritenuto fondate le censure dell’Amministrazione finanziaria, affermando che, in tema di Iva, ai sensi degli articoli 4, secondo comma, n. 1, e 19 del Dpr 633/1972 (e anche alla luce della VI direttiva, la 77/388/Cee), in ordine agli acquisti di beni e in generale alle operazioni passive, occorre sempre accertare ai fini della detraibilità “che ricorra l’effettiva inerenza all’esercizio dell’impresa” (cfr Cassazione 11765/2008 e 7344/2011), cioè il loro compimento in stretta connessione con le finalità imprenditoriali, senza, tuttavia, che sia richiesto il concreto esercizio dell’impresa, potendo la detrazione dell’imposta spettare anche nel caso di assenza di operazioni attive, con riguardo alle attività meramente preparatorie, quali la ristrutturazione di un immobile, purché finalizzate alla costituzione delle condizioni d’inizio effettivo dell’attività tipica (cfr Cassazione 8583/2006 e 1863/2004). Per tutte le operazioni passive, infatti, occorre accertare di volta in volta che ricorra l’effettiva connessione con le finalità imprenditoriali.
Tali principi rimangono validi – sottolinea la Cassazione – anche successivamente alla riferita sentenza della Corte di giustizia del 2006, con la quale si è, tra l’altro, affermato che il diritto alla detrazione costituisce parte integrante del meccanismo dell’Iva e, in linea di principio, si è attribuito al contribuente un diritto che può essere soggetto alle sole limitazioni stabilite dalla VI direttiva. Ne consegue, che l’adozione di misure derogatorie in violazione del diritto comunitario non è opponibile da parte dell’Amministrazione finanziaria dello Stato membro nei confronti del soggetto passivo, al quale è riconosciuto il diritto di computare il proprio debito Iva verso l’Erario conformemente al disposto dell’articolo 17 della VI direttiva.
Pertanto, il giudice di legittimità ha ritenuto che, nel caso in esame, la sentenza impugnata non abbia fatto applicazione dei detti canoni ermeneutici, laddove ha rigettato l’appello dell’Amministrazione finanziaria senza alcuna approfondita valutazione circa l’inerenza dei beni rispetto all’attività d’impresa. In tale contesto il giudice del riesame ha, peraltro, erroneamente determinato, ai fini della detrazione Iva, la quota di utilizzo personale forfettaria nella misura del 30% ai dirigenti, in violazione, oltre che della surrichiamata norma Iva, anche dell’articolo 48, comma 4, del Dpr 917/1986.
Infatti, gli automezzi diffusamente impiegati nell’attività d’impresa e di lavoro autonomo possono essere utilizzati anche per fini privati. Per questi motivi la normativa sull’Iva, al fine di evitare facili e possibili abusi, prevede oggettive e soggettive limitazioni al diritto di detrazione del tributo assolto in rivalsa per l’acquisto, manutenzione e gestione degli automezzi. Tali limitazioni, di conseguenza, producono effetti in sede di cessione, concessione in uso a terzi o personale dell’automezzo.