Con la sentenza n. 25409 del 27 giugno, la Cassazione ha stabilito che non può essere ammesso, né può mantenere il patrocinio a spese dello Stato, il contribuente che dichiara reddito zero oppure il falso. Il reato previsto dall’articolo 95 del Dpr 115/2002 – che sanziona le falsità o le omissioni nelle dichiarazioni o nelle comunicazioni per l’attestazione delle condizioni di reddito in vista dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato – è integrato dalle dichiarazioni con cui l’istante afferma, contrariamente al vero, di avere un reddito inferiore a quello fissato dalla legge come soglia di ammissibilità, a prescindere dalla circostanza che in concreto la soglia venga o meno superata.
A seguito degli accertamenti compiuti dall’ufficio dell’Agenzia delle Entrate, il Tribunale di Cagliari ha revocato il provvedimento con il quale una contribuente era stata ammessa al patrocinio a spese dello Stato (ex articoli 98 e 112, Dpr 115/2002). I redditi del nucleo familiare della signora, relativi all’anno d’imposta 2007, sarebbero stati pari a 11.929 euro e quindi superiori al limite fissato per chiedere e mantenere il beneficio, in origine di 9.296,22 euro, elevato poi a 9.723,84 euro dal decreto interministeriale 29 dicembre 2005 e innalzato, successivamente, a 10.628,16 euro con il Dm 20 gennaio 2009. Il tetto aumenta di 1.032,91 euro per ognuno dei familiari conviventi con l’interessato e, in tal caso, il reddito di riferimento è costituito dalla somma dei singoli redditi percepiti nello stesso periodo dai conviventi, compreso l’istante.
Il decreto del Tribunale è stato impugnato per cassazione dalla contribuente perché:
- nell’istanza di ammissione il reddito indicato era pari a zero in quanto la stessa era stata licenziata con lettera del 18 maggio 2007 allegata all’istanza
- il licenziamento era avvenuto dopo la presentazione dell’ultima dichiarazione dei redditi e prima della presentazione della domanda di ammissione al gratuito patrocinio e, quindi, il giudice non avrebbe dovuto tener conto del reddito dichiarato nell’anno precedente in quanto non più corrispondente alla realtà.
La Corte, richiamando la pronuncia delle sezioni unite 6591/2009, ha affermato che “la falsità delle indicazioni contenute nell’autocertificazione deve ritenersi connessa ‘all’ammissibilità dell’istanza non a quella del beneficio (art. 96, comma 1), perché solo l’istanza ammissibile genera obbligo del magistrato di decidere nel merito…’ Dunque, non assume importanza, in presenza di una dichiarazione rivelatasi non corrispondente alla reale situazione reddituale, nemmeno l’effettivo ammontare del reddito …”.
La Cassazione pertanto ribadisce che la ratio dell’articolo 95 del Dpr 115/2002 consiste nell’evitare che siano ammessi al patrocinio a carico dello Stato soggetti che non ne hanno il diritto per carenza dei presupposti di legge. Il legislatore, cioè, per stabilire se una persona sia nelle condizioni o meno di usufruire del beneficio, ha riguardo a tutti gli introiti effettivamente percepiti dall’interessata in un determinato periodo (articolo 76, Dpr n. 115/02) e, in particolare, al “…reddito imponibile ai fini dell’Irpef, quale definito dall’art. 3 del Tuir, integrato dagli altri redditi indicati dall’art. 76 del D.P.R. n. 115 del 2002…” ossia quello “…risultante dall’ultima dichiarazione….formato per i residenti da tutti i redditi posseduti al netto degli oneri deducibili indicati nell’art. 10” (risoluzione n. 15/E/2008; Cassazione, 16583/2011), redditi che (compresi quelli non reputati tali ai fini fiscali – Cassazione, 36362/2010, 45159/2005 – o derivanti da attività illecita – Cassazione, 34643/2010 e 17430/2001 – o che sono soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta ovvero a imposta sostitutiva – Cassazione, 22299/2008), comunque, siano attestati in modo veritiero.
Prima ancora della condizione di reddito, infatti, nella fattispecie sottoposta al suo esame, la Corte ha chiarito che, presupposto per l’ammissione e per il mantenimento del patrocinio a spese dello Stato, è la presentazione di una dichiarazione fedele da parte del contribuente, senza che, a tale riguardo, possa considerarsi pertinente il principio di diritto evocato dalla ricorrente, secondo cui sono rilevanti le variazioni intervenute successivamente.
Secondo i giudici di legittimità, infatti, tale principio presuppone pur sempre una (precedente) veritiera dichiarazione reddituale, corrispondente, cioè, all’effettiva condizione dell’istante. Invece, dai controlli effettuati dall’Agenzia delle Entrate (che “possono essere legittimamente acquisiti come prova documentale” – Cassazione, 19000/2009), la contribuente aveva reso una dichiarazione rivelatasi oggettivamente non corrispondente alla sua reale situazione, con la conseguenza che nonostante “… le alterazioni od omissioni di fatti veri risultino poi ininfluenti per il superamento del limite di reddito, previsto dalla legge per l’ammissione al beneficio”, tale comportamento comunque configura “… l’inganno potenziale … della falsa attestazione di dati necessari per determinare … le condizioni di reddito …” al momento dell’istanza (Cassazione, 6591/2009).
La Cassazione ha affermato, infatti, che “il reato di pericolo si ravvisa se non rispondono al vero o sono omessi in tutto o in parte dati di fatto nella dichiarazione sostitutiva, ed in qualsiasi dovuta comunicazione contestuale o consecutiva, che implichino un provvedimento del magistrato, secondo parametri dettati dalla legge, indipendentemente dalla effettiva sussistenza delle condizioni previste per l’ammissione al beneficio” (Cassazione, 34399/2011).
Si tratta, inoltre, di un reato costruito come “fattispecie di pura condotta” (Cassazione, 12019/2008) che si sostanzia nell’esternazione dei comportamenti previsti dall’articolo 79, comma 1, lettere b), c), d), Dpr 115/2002 (dichiarazione di false generalità; falsa attestazione delle condizioni di reddito previste per l’ammissione dall’articolo 76; violazione dell’impegno a comunicare eventuali variazioni rilevanti di tali condizioni, se si sono verificate nell’anno precedente), cui rinvia l’articolo 95.
Assumono rilevanza, allora, non tutte le dichiarazioni infedeli o le omissioni, ma solo quelle dalle quali emerga “inganno potenziale” (realizzato con la sola condotta descritta dall’articolo 95, prima parte) o “effettivo” (che si configura se dal fatto consegue l’ottenimento o il mantenimento dell’ammissione al patrocinio – articolo 95, seconda parte) del destinatario. Di conseguenza, la Corte, rinviando alla parte della sentenza 6591/2009 relativa all’“inganno potenziale”, ha rigettato il ricorso e ha provveduto a recuperare le spese processuali.