di Davide PASSONI
Continua il viaggio di Infoiva tra le associazioni di categoria siciliane per tastare il polso degli attori dell’economia vera di fronte al rischio di fallimento della regione che, sempre di più, rischia di trasformarsi in realtà nonostante le rassicurazioni del governatore Raffaele Lombardo. Dopo Cna Sicilia e la Confesercenti regionale, oggi è la volta di Confcommercio Sicilia, il cui Direttore regionale, l’avvocato Julo Cosentino, ci ha rilasciato questa intervista.
Come vive Confcommercio Sicilia questo paventato allarme default per la regione?
Viviamo questo momento con particolare preoccupazione, una preoccupazione che abbiamo avvertito per tempo perché da più di un anno noi, come altre associazioni siciliane, avevamo avvertito la regione che la situazione dei conti era drammatica e che rischiavamo di finire peggio della Grecia. Purtroppo le nostre previsioni si sono avverate in modo puntuale e anche forse prima di quanto pensassimo.
Dunque l’ottimismo di Lombardo è solo di facciata?
Sono due gli aspetti della crisi che colpiscono la Sicilia. Il primo problema è dato da una crisi economica che dura da anni e che contrae economia, consumi, stipendi. Se l’economia non funziona, il potere d’acquisto cala, i consumi si deprimono e le entrate fiscali scendono. La crisi della Sicilia è dunque strutturale, esiste da tempo e ad essa si somma la mancata spesa per tempo dei fondi comunitari, che potevano costituire un grande volano per la regione. Scontiamo all’origine un divario di competitività che dovremmo colmare con questi fondi: se non siamo in grado di usarli e li perdiamo, come possiamo colmare il gap?
E il secondo problema?
Il secondo problema è il bilancio della regione, da anni ingessato, che vive di spese correnti che vanno coperte mensilmente. Negli anni scorsi il governo e il parlamento regionale hanno destinato i fondi comunitari per le spese correnti e non per gli investimenti, per cui man mano sono diminuiti e non sono stati impiegati per quella che sarebbe stata la loro destinazione corretta. Ciò che dice Lombardo, che manca liquidità, perché mancano i fondi è vero, ma se li abbiamo, li usiamo male e non eliminiamo le spese parassitarie facendo un piano serio di ristrutturazione dei conti, la situazione è destinata solo a peggiorare.
Qual è l’umore tra i vostri associati, sul territorio? Prevale la preoccupazione o la voglia di reagire?
L’umore dei nostri associati è nero. Da un lato il mancato volano derivante da assenza di soldi e investimenti rende le attività asfittiche. In più, ora il clima di preoccupazione colpisce anche il pubblico oltre che il privato, almeno psicologicamente, per cui le persone hanno timore di spendere e i consumi sono al palo. La situazione è vissuta con molta preoccupazione; un esempio per tutti sono i saldi: quando vanno male per una o due stagioni consecutive, significa che la gente non ha soldi da spendere. Aggiungiamo poi i mancati pagamenti da parte della Pubblica Amministrazione, dovuti in larga parte agli obblighi legati al rientro del patto di stabilità che comportano ritardi di diversi anni, e il quadro preoccupante è completo.
Fanno più paura gli allarmi sulla tenuta dei conti o la crisi “vera”, quella che morde mezza Europa?
La crisi vera. I conti si possono tenere in piedi in tanti modi, non abbiamo scoperto oggi che il bilancio regionale è ingessato. Quando invece mancano i soldi perché chiudono le aziende e la competitività crolla, allora le attività cuore dell’economia regionale come agricoltura e turismo vengono colpite duramente: questo fa paura, molto di più della tenuta dei conti. Certo, se va in default la regione è un dramma, ma intanto pensiamo alla crisi reale, quella che colpisce chi produce.
Fiscalità, incentivi, sgravi: con quali misure lo Stato può aiutare le piccole imprese siciliane e “respirare”?
Una svolta sulla fiscalità sarebbe molto importante. Il credito d’imposta consentirebbe di respirare un po’, di alleggerire un peso fiscale che grava non solo per il pagamento delle imposte, ma per i ritardati pagamenti che a sua volta comporta. Aziende che hanno crediti fiscali per oltre 10mila euro e non possono ricevere soldi dalla regione proprio per questo sono nell’impasse. Le aziende non vogliono principalmente soldi dalle banche, si aspettano soprattutto un alleggerimento da parte dello Stato della pretesa tributaria cogente.
Al di là del default o meno, pensa che la regione abbia i mezzi per risollevarsi da sola dalle secche in cui è finita?
Sono convinto che la regione abbia delle enormi potenzialità. Per esempio, possiede uno dei più grossi patrimoni archeologici d’Italia, che da solo potrebbe essere messo a garanzia della solvibilità siciliana. Oggi purtroppo, però, vi sono interconnessioni di cui non si può fare a meno come, per esempio, quelle che portano all’erogazione dei fondi comunitari. Non ce la possiamo fare da soli perché serve l’aiuto dello Stato per compiere scelte su quali infrastrutture e quali grossi investimenti realizzare tra quelli che servono allo sviluppo della Sicilia o per accelerare le procedure di erogazione dei fondi, per mettere in circolo denaro e non farlo perdere alla regione né all’Italia.
La Sicilia ha la classe politica che si merita? Secondo noi no, secondo lei?
Anche secondo noi no. Abbiamo fatto da tempo una critica feroce alla classe politica che governa la regione e a quella che ci rappresenta a Roma. La sua grossa colpa è quella di non avere mai fatto squadra quando doveva rappresentare gli interessi della regione: ha sempre pensato a portare avanti i propri interessi personali, continuando in divisioni incomprensibili che hanno danneggiato il popolo che l’ha eletta. Non basta però criticarla, occorre creare una classe dirigente capace di sostituirla; è anche un compito delle associazioni come la nostra, che però non devono e non vogliono sostituirsi alla politica ma aiutare a formare una nuova coscienza civica che possa aiutare a governare e rappresentare la regione in modo trasparente ed efficace.