di Davide PASSONI
Ecco, ci mancava solo questo. Già la spending review per come sta prendendo forma con il lavoro del governo sembra essere sempre più una sòla, con i tagli annunciati che, se arriveranno, saranno solo una goccia nel mare della spesa inutile ed elefantiaca dello Stato. Ora, come se non bastasse, c’è chi protesta contro di essa.
Naturalmente non possono che essere i dipendenti pubblici, non foss’altro perché la revisione della spesa incide proprio nel perimetro della spesa dello Stato. Cgil, Cisl e Uil sono infatti sul piede di guerra e hanno indetto per domani due ore di stop nel pubblico impiego “affinché il governo apra il necessario confronto e interrompa il percorso preannunciato su spending review e lavoro pubblico, tenendo fede all’intesa del 3 maggio“.
La Triplice protesta “contro la politica degli annunci e delle indiscrezioni a mezzo stampa portata avanti da questo governo. Ma soprattutto contro l’approccio ideologico nei confronti del pubblico impiego. Approccio che rischia di tradursi in tagli lineari di organico mascherati da revisione della spesa, accorpamenti di enti contrabbandati per riorganizzazioni, attacchi alla dignità dei lavoratori pubblici spiegati con le urgenze di cassa. Sono misure inaccettabili, tanto più in un momento di difficoltà del Paese“.
Se qualche giorno fa avevamo definito “alieni” i parlamentari, assodata la loro incapacità di comprendere in quale Paese e in quale momento storico stanno vivendo, oggi a chi fa queste affermazioni non possiamo che dare del marziano. Al di là del fatto che uscite “a mezzo stampa” di questo governo sono tutte da trovare, visto quanto poco credito Monti & c. racimolino ormai dalla maggiore stampa del Paese, come diavolo si fa a parlare di “approccio ideologico” nei confronti del pubblico impiego quando proprio nel pubblico, oggi, c’è il cancro maggiore che rode l’Italia? E non parliamo, badate, dei lavoratori del pubblico: lì, come nel privato, non mancano le sacche di lassismo, ma il problema non è il dipendente pubblico, quanto chi lo tutela con leggi fuori dal tempo, chi mette nero su bianco che la mobilità nel pubblico è ammessa ma all’atto pratico non la utilizza, chi si batte per non applicare nel pubblico il famigerato articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, chi permette che, a fronte di un calo di 110mila unità, la spesa per gli stipendi dei dipendenti dello Stato cresca di 40 miliardi in 8 anni.
Ovvero, se il pesce puzza dalla testa, parliamo dei vertici della funzione pubblica italiana; se il pesce puzza anche nella pancia, parliamo dei sindacati del pubblico impiego. Imprese e lavoratori dipendenti privati si vedono ridurre ogni giorno margini e stipendi (quando non devono chiudere bottega o non finiscono in mezzo alla strada con famiglia a carico) e chi rappresenta i lavoratori pubblici, oltre tutelarne di fatto l’inamovibilità, protesta pure se solo sente lontanamente minacciati privilegi e diritti acquisiti “in un momento di difficoltà del Paese“, come dicono loro?
Non ci siamo proprio, anche perché i maggiori sprechi nel pubblico sono (ed è un dato di fatto) nelle spese per i beni e i servizi più che nell’erogazione delle pensioni e degli stipendi dei dipendenti. E allora, cari sindacati, noi vi mandiamo un abbraccio forte, riconosciamo senza alcuna remora il vostro alto ruolo sociale di tutela e garanzia ma vi invitiamo con forza a svegliarvi, a capire che siamo nel XXI secolo e non nel XIX o nel XX, a pensare al Paese oltre che ai vostri iscritti. Certo, ogni tessera in tasca a un lavoratore sono soldi per voi, ma di questo passo se l’Italia continua la sua corsa lungo la china, i lavoratori dovranno scegliere tra dare la quota a voi o destinarla alla spesa settimanale per la famiglia. Non siamo veggenti, ma ci viene facile capire che cosa sceglieranno…