Eliminare dal testo la parola professione, usata impropriamente e causa di confusione, ed evitare che le associazioni possano svolgere sia le attività riservate ai professionisti iscritti in albi, sia quelle caratteristiche contemplate negli ordinamenti professionali. Sono le richieste di modifica al disegno di legge AS 3270, recante Disposizioni in materia di professioni non organizzate in Ordini o Collegi, avanzate dal Consigliere nazionale dei commercialisti, Andrea Bonechi, dinanzi alla Commissione Industria del Senato, dalla quale è stato audito lo scorso 20 giugno in rappresentanza del Comitato unitario professioni (CUP)
“Il ddl – ha affermato Bonechi – contiene delle norme che andrebbero significativamente incise o quantomeno modificate al fine di ridurre possibili effetti distorsivi sulla concorrenza e meglio tutelare i consumatori“. Tre le proposte di modifica avanzate dai professionisti.
Innanzitutto gli emendamenti all’art. 1, comma 2 del disegno di legge che “originano – è scritto della relazione depositata da Bonechi in commissione – dalla necessità di fare chiarezza intorno al termine “professione” che viene utilizzato impropriamente in tale testo“. “Un’esigenza avvertita – si legge ancora nel documento – per sgombrare il campo da possibili equivoci interpretativi circa il soggetto che per l’ordinamento giuridico italiano è qualificabile come “professionista” ed il soggetto che pur svolgendo servizi che hanno ad oggetto prestazioni d’opera intellettuali non può essere qualificato come “professionista“.
Un ulteriore emendamento, proposto dal Cup sia all’art. 1, comma 2 e all’art. 2, comma 6 del disegno di legge, è “volto ad escludere che gli iscritti alle associazioni possano svolgere non solo le attività riservate per legge agli iscritti in albi professionali, ma anche le attività caratteristiche espressamente contemplate all’interno degli ordinamenti professionali“. “Una precisazione che – sottolinea Bonechi – trova il sostegno della recente sentenza delle Sezioni Unite Penali della Corte Suprema di Cassazione n. 11545/2012“.
Una sentenza che “appare idonea a porre fine alle ingiustificate richieste di riconoscimento pubblicistico avanzate da quelle associazioni i cui aderenti svolgono attività caratteristiche di professioni già riconosciute. La pronuncia della Suprema Corte, infatti, enfatizzando il concetto della rilevanza giuridica delle “attività caratteristiche non esclusive” – da sempre negata da tali associazioni e posta alla base delle loro richieste – “fa apparire il riconoscimento di tali associazioni del tutto contrario alla tutela dell’interesse pubblico e dell’affidamento dei terzi“.
Laura LESEVRE