di Davide SCHIOPPA
Fermiamo la strage. I dati messi in fila dalla Cgia di Mestre sulla mortalità delle imprese italiane in questo momento difficile sono tutt’altro che incoraggianti. Secondo l’associazione mestrina, in Italia muoiono oltre 1.600 imprese ogni giorno. 66 e rotti ogni ora, più di una al minuto, diciamo noi. Nei primi tre mesi del 2012, infatti, sono cessate 146.368 imprese, a voler essere precisi 1.626 al giorno.
Se la differenza tra le nuove iscrizioni alla Camera di commercio e le cessazioni nel periodo gennaio-marzo 2012 è stato negativo (-26.090), quello che preoccupa la Cgia non è tanto questo segno meno (storicamente, infatti, il primo trimestre di ogni anno presenta quasi sempre un valore negativo) quanto il fatto che ad iscriversi sono aziende che hanno dimensioni occupazionali minori di quelle che abbassano la saracinesca.
Rispetto al primo trimestre 2011 la situazione della nati-mortalità delle imprese italiane è comunque peggiorata. Se le cessazioni erano state più contenute di quest’anno (134.909), il saldo presentava però un dato meno negativo di quello del 2012: -9.638. Una differenza che, secondo la Cgia, è riconducibile alla classe dimensionale riferita alle partita Iva senza dipendenti: se quest’anno, per questo comparto, la differenza tra la natalità e la mortalità è stata di +3.987, l’anno scorso aveva superato le 19mila unità (+19.369).
“Se tra le aziende fino a un addetto c’è una evidente supremazia dei neoimprenditori – sottolinea Giuseppe Bortolussi, segretario della Cgia di Mestre – quello che preoccupa è che nelle classi dimensionali superiori il saldo è sempre negativo. Insomma, se a chiudere sono le imprese più strutturate che solo in parte vengono rimpiazzate con altre aventi livelli dimensionali più contenuti, ciò comporta un evidente aumento dei senza lavoro“.
Come fare per fermare la mattanza? Inutile nasconderlo, molto spesso un’impresa cessa per la leggerezza imprenditoriale da parte di chi l’ha creata: business plan sbagliati, errata conoscenza del mercato, scarsa vena imprenditoriale, metteteci quello che volete… Il più delle volte, però, a decretare la morte dell’impresa è chi l’impresa la dovrebbe tutelare, a partire dalla Costituzione: lo Stato. Ditelo a tutti coloro che hanno dovuto chiudere e mandare a casa gente perché hanno lavorato più per pagare le tasse che per creare ricchezza per gli altri e per sé. Ditelo a tutti coloro che hanno ricevuto cartelle esattoriali a 4 zeri per sviste o mancati versamenti di poche decine di euro. Ditelo a tutti coloro che si sono trovati vincoli paradossali per assumere persone e veti e giudici che hanno loro impedito di privarsi dei dipendenti poco onesti.
Perché, non nascondiamoci: l’Italia non cresce da ben prima della crisi, lo spread e la Merkel sono solo i capri espiatori per chi ha mentito sapendo di mentire. Al Paese, alle imprese, ai cittadini. E anche se ora siamo qui a contare i “morti”, non smettiamo di invocare politiche fiscali e occupazionali capaci di dare agli imprenditori una ragione per continuare a credere che fare impresa sia una delle attività più belle, alte e gratificanti per l’uomo che si sente di dare qualcosa. Se uccidete le imprese, vi preghiamo, non uccidete anche la speranza.