di Davide PASSONI
Il caso di Luigi Martinelli, l’ex imprenditore che ieri ha fatto vivere un pomeriggio di terrore agli impiegati dell’Agenzia delle Entrate di Romano di Lombardia, nella quale si era asserragliato armato di fucile e pistole, è il primo così eclatante nella serie delle storie dalla crisi che tutti i giorni sentiamo.
Il più delle volte, purtroppo, il gesto è silenzioso: una tanica di benzina e un cerino, una corda al collo, un colpo alla tempia. Il fragore arriva dopo, con i media scatenati a raccontare di questa crisi assassina. Martinelli no. Lui ha voluto essere fragoroso, fare casino, di fatto non far male a nessuno, visto l’epilogo ma anche lo svolgimento della storia e della trattativa con i Carabinieri. Però la sostanza rimane: un uomo rovinato dalle tasse, dall’economia che non gira, dai clienti che non pagano, da uno stato rapace che prima si porta via tutto e poi, forse, ti restituisce qualcosa se deve. Ma intanto si è portato via tutto e tu non vedi prospettive.
E allora è bene che i media continuino a parlare, che le associazioni mettano in campo iniziative, che non cali il silenzio su certi drammi e su una politica fiscale che è nemica di chi produce. Certo, tra gli imprenditori falliti c’è anche chi è caduto per incapacità, sbagli, superficialità proprie: sta nella natura del rischio d’impresa. Ma quando a far scattare la follia è una cartella esattoriale, allora occhio. Perché tra Martinelli e un suo collega che si appende alla trave del capannone la differenza non c’è: finito uno, morto l’altro. E tanti saluti alla voglia di riscatto delle piccole imprese.