di Davide PASSONI
Partiamo con una domanda: in questo momento di crisi, meglio poco per tanti o niente per nessuno?
Proseguiamo con una valutazione: gli emendamenti al ddl lavoro relativi ai co.co.pro. e alle cosiddette “false partite Iva” proposti da Tiziano Treu (Pd) e Maurizio Castro (Udc) sono una porcata. Che cosa prevedono? Relativamente ai co.co.pro., si introduce il concetto di giusta retribuzione, definita sulla base della media tra le tariffe del lavoro autonomo e dei contratti collettivi. Per le “false partite Iva” si parla di un limite massimo di 18mila euro di reddito lordo annuo: se un professionista a partita Iva guadagna di più, per lo stato è automaticamente una falsa partita Iva. Per cui, cara impresa che di lui ti servi, non saranno valide le presunzioni per far scattare l’assunzione. In più, nella formulazione prevista dal ddl si prevede che le partite Iva siano considerate collaborazioni coordinate e continuative se sussistono due di questi tre presupposti: collaborazione con durata superiore ai sei mesi nell’arco dell’anno, corrispettivo derivante dalla collaborazione superiore al 75% del reddito totale annuo, postazione di lavoro presso la sede del committente. Nell’emendamento si passa a otto mesi e 80%. Poco cambia, per le piccole imprese sarà l’ecatombe.
Tiriamo una prima conclusione. In un periodo in cui ci sarebbe bisogno come il pane di un patto forte tra imprese e lavoratori per non affondare tutti, queste misure vanno esattamente nella direzione opposta. E, soprattutto, sono delle cannonate mortali per le piccole imprese. Le uniche, detto per inciso, che nei momenti più neri della crisi hanno continuato, bene o male, a dare lavoro. Quindi la domanda retorica con cui abbiamo aperto troverebbe una risposta a sorpresa: niente per nessuno.
Ebbene, passassero gli emendamenti in questione, la piccola impresa che vive di commesse e cerca collaboratori per i quali essere a sua volta committente, si troverebbe nell’impossibilità di offrire commesse perché non potrebbe fruire dei servizi di un professionista a partita Iva pagandolo il giusto: sforasse i 18mila euro lordi, sarebbero fritti in due, l’impresa e il professionista. La piccola impresa, che vive di un rischio imprenditoriale proprio, non potrebbe permettersi di pagare un salario minimo ai co.co.pro. perché non potrebbe far fronte ai costi aggiuntivi che tale formula prevedrebbe. Per cui, non avrebbe più committenti, di conseguenza nemmeno commesse. In sostanza, fallirebbe. Il professionista, si ritroverebbe a sua volta senza commessa e senza un reddito. E tanti saluti alla spina dorsale dell’economia italiana.
Tiriamo una seconda conclusione. Queste proposte di modifica arrivano sì dai partiti, ma da quei partiti che sostengono il governo. E sembrano quasi il frutto di una manovra diversiva che prepara alla stangata dell’aumento dell’Iva che a ottobre nessuno, statene certi, ci toglierà. Ovvero: cari lavoratori, vedete come siamo bravi, aumentiamo il potere d’acquisto del vostro reddito dandovi la certezza di uno stipendio! Ma intanto… zac! Due punti in più di Iva e deprimiamo i consumi. E i professori assentono. Non sarà mica che questi tecnici, questi professori che non passa giorno senza che sbandierino la loro apoliticità, si stiano invece preparando a candidarsi nel 2013 e lavorino già sul populismo attira-voti?
Perché lasciare la posizione di AD di un grande gruppo bancario per fare il ministro e prendersi pesci in faccia dal mattino alla sera, peraltro, pensiamo, guadagnando di meno? Perché assumere la guida di un governo e di un’economia alla frutta quando negli ambienti accademici si poteva stare tranquilli tranquilli? Per puro senso dello stato e spirito di servizio? Un tecnico alla guida di un governo e poi, qualche anno dopo, al Quirinale, lo abbiamo già visto. E nel 2013 anche Napolitano lascerà. Che sia tutta propaganda sulla pelle delle imprese? Non lo vogliamo credere, ma se due indizi fanno una prova…