di Davide PASSONI
Lo abbiamo scritto ieri: i decreti che sbloccano i fondi per pagare parte dei debiti commerciali e dei crediti fiscali che lo Stato ha nei confronti delle imprese sono una buona cosa. Meglio del nulla che è stato finora, solo l’inizio per rimborsare quei 7 punti di pil che lo Stato nega alle imprese: 70 miliardi dei quali una piccola parte per molte di loro significa la differenza tra vivere e morire.
Una buona cosa, se la procedura per ottenere i soldi non fosse a dir poco kafkiana. Un labirinto burocratico e delle lungaggini codificati per legge che sembrano fatte apposta per far passare la voglia di chiedere quanto dovuto e che strapperebbero un bel “vaffa, tieniti i tuoi soldi” a tanti imprenditori, se non fosse che da quei soldi dipende la sopravvivenza di molti di loro. Non ci credete? Semplifichiamo.
L’imprenditore cui lo Stato deve dei soldi, può presentare domanda di certificazione del credito; nella richiesta allega le fatture non pagate o gli estremi del suo credito e dice subito se vuole compensare il credito rispetto a quanto lo Stato gli chiede oppure se vuole procedere allo sconto in banca. Nel farlo, però, rinuncia a ricorrere in tribunale e a fare decreti ingiuntivi contro lo Stato cattivo pagatore: in pratica non può avere diritto a ricorrere contro un debitore insolvente che, dopo avere emesso le fatture, gli chiede di produrle. Pazzesco. Stato tiranno e, scusate il termine, paraculo.
Fatto questo, la Pa ha 60 giorni di tempo per verificare le fatture e accertare che l’imprenditore non abbia debiti verso lo Stato superiori a 10mila euro o non abbia cartelle esattoriali pendenti a suo carico: nel qual caso stop, si ferma tutto, non si ha diritto ad alcun rimborso! Follia.
Se è tutto a posto e l’imprenditore ha chiesto l’incasso, solo allora può ottenere la certificazione, ossia la produzione di un pezzo di carta garantito che gli permetta di avere lo sconto in banca dei crediti. La Pa ha 60 giorni per certificare il credito in tutto o in parte e a questo punto, passati 60 + 60 giorni l’imprenditore ottiene una forma di garanzia che gli consente di rivolgersi alle banche. Dopo 4 mesi. Se al 4o mese la Pa non ha risposto all’istanza, l’imprenditore puo chiedere l’intervento della ragioneria generale dello Stato (che potrà mai dare torto allo Stato?) e passano altri 2 mesi nei quali questa nominerà un commissario che avrà altri due mesi per valutare la pratica. A quel punto se tutto è andato bene (e sono passati 8 mesi) scatta una delle diverse possibilità: cedendo il credito alla banca per scontarlo si può decidere se farlo “pro soluto“, ossia la banca si accolla il rischio di un inadempimento, oppure “pro solvendo“, per cui il rischio resta in capo all’imprenditore. In questo caso interviene il fondo di garanzia che però copre fino al 70% dell’operazione e un massimo di 2,5 milioni per impresa. E così, se tutto funziona senza intoppi (miraggio), forse si vedono i soldi dopo un anno dall’inizio della pratica. Questa è la tortuosa strada della certificazione.
Se un imprenditore chiede invece la compensazione fiscale, passati gli 8 mesi di cui sopra senza ostacoli (!) può presentare la certificazione all’agente di riscossione per compensare il debito e il credito iscritto a ruolo. I tempi? Tre giorni per la verifica della posizione da parte dell’agente e risposta entro 15 giorni, al termine dei 4 mesi; in caso di risposta positiva l’agente invia l’ok alla compensazione entro 5 giorni ed entro 12 mesi dalla certificazione, l’ente debitore pagherà il debito originario all’agente di riscossione che lo dovrebbe girare all’imprenditore entro 6 mesi, per ricevere entro a sua volta entro un anno dall’amministrazi
one centrale o periferica i soldi che lui anticipa.
Vi sembra un meccanismo che invoglia a chiedere i soldi che lo Stato deve?