di Davide PASSONI
Un’altra lettera, un’altra storia, un’altra voce dalla crisi arrivata alla nostra redazione. La scorsa settimana era la storia di una farmacista, partitivista per forza e, a un anno dalla pensione, obbligata a pensare di dover continuare a lavorare in nero per poter vivere.
Oggi la testimonianza di un avvocato, una professionista che per poter vivere dignitosamente e sfuggire a un Fisco carogna e ai pessimi pagatori è stata costretta a fuggire all’estero. Fuga di cervelli, fuga di professionisti, fuga per la vita… Giudicate voi. Una lettera che, nel suo essere sintetico, trasuda indignazione verso un sistema che spesso, invece di valorizzare l’intrapresa, la castiga e la obbliga a rinnegare la propria missione.
La mia storia è semplice:
– conclusa giurisprudenza a Padova nei tempi più duri, “tiro su uno studio letteralmente dal nulla”, nel senso che ho scarse conoscenze e quindi scarse segnalazioni: i clienti e la loro fiducia me le devo proprio conquistare palmo a palmo;
– il tutto dal 1998 – anno in cui mi iscrivo all’Albo Avvocati, fino a fine 2008: senza fare parcelle stellari o evocare nei clienti l’immagine dell’avidità, riesco a mantenere una famiglia, costruire una casa in campagna, comprare una barchetta e un terreno;
– poi cambia tutto: parcelle di 5000 e più euro impagate, pochissimi nuovi incarichi;
– non ce la faccio a tenere in piedi un’attività professionale, mi metto alla ricerca di un lavoro dipendente;
– mi offrono un posto di lavoro oltralpe: vado. Fortuna che inglese, tedesco e spagnolo li ho imparati e sempre un po’ parlicchiati in varie occasioni;
– duemilatrecento euro per 14 mensilità: era un po’ che non entravano questi soldi netti e aiutano decisamente a farmi sentire un po’ tranquilla;
– ho 43 anni compiuti.
Cordialità.
Un avvocato
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