di Davide PASSONI
Ve lo ricordate tutto il polverone sollevato qualche mese fa dalla decisione del Governo Monti di far pagare l’Imu agli immobili eccelsiastici che ospitino attività con finalità di lucro? Come no… Applausi, consensi, una vera e propria beatificazione del presidente del Consiglio che, in quattro e quattr’otto, aveva dato una botta a una questione che si trascinava da decenni.
Ora la sorpresa. Scopriamo infatti che, mentre la maggior parte degli italiani aspetta con timore la scadenza del 18 giugno per capire quanto dovrà versare di acconto Imu (e ancora, crediamo, non percepisce la portata della stangata che la aspetterà a dicembre con il saldo), da questa imposta sono esentati gli edifici che ospitano le fondazioni bancarie.
Sì, abbiamo capito bene. Le fondazioni bancarie non pagheranno l’Imu per gli immobili che le ospitano. Ma come, un convitto gestito dalle suore, attività evidentemente a fini di lucro, pagherà questa imposta e le fondazioni che controllano le banche (a loro volta non proprio delle Onlus) no? Plauso e merito all’opera delle fondazioni bancarie, in sé non lucrative; ma come la mettiamo con gli istituti che controllano? Mah…
Questo governo di tecnici ci lascia ogni giorno sempre più perplessi e cominciamo a credere che certe topiche e certi errori, che violano i principi di equità ed uguaglianza dei cittadini, non siano più errori dovuti a inesperienza politica quanto degli scivoloni dovuti a disattenzione. Ma è mai possibile che anche sotto la guida dei professori la spesa pubblica stia continuando a crescere? E’ mai possibile che l’Esecutivo sostenga di non poter tagliare la spesa corrente perché non ha avuto il mandato politico per farlo? E che cosa ce li hanno messi a fare allora ‘sti professori? Se lo facciano dare da Napolitano questo mandato politico, visto che i partiti, di destra e di sinistra, lo hanno avuto per decenni e non hanno fatto nulla, per non erodere consensi elettorali.
Dimostrino, Monti e i suoi, di avere davvero le mani libere non solo per continuare a infilarle nelle tasche di chi ha già e ha sempre dato, ma anche per tagliare spesa pubblica e inefficienze, privilegi non solo della casta, fare una seria spending review (dov’è, ministro Giarda? Dov’è?) e, con le miliardate che arriverebbero da un’azione del genere, abbassare veramente le tasse alle imprese e ai cittadini. Altrimenti la ripresa ce la sogniamo. Erodere il potere di acquisto significa ammazzare i consumi, ammazzare i consumi significa ammazzare l’economia, ammazzare l’economia significa ammazzare l’Italia.
E sorridiamo amaramente quando il premier, forse ancora scosso dal jet lag del suo viaggio in Asia, dice che in Europa la fase acuta della crisi è alle spalle. Pare di sentire il suo predecessore quando a ottobre, con l’Italia sull’orlo del precipizio, parlava di ristoranti pieni, aerei stracolmi, posti di vacanza tutti esauriti. Sveglia. Il vero bubbone sotto l’ascella dell’Italia è lì, nella spesa pubblica che NON SI VUOLE tagliare. L’evasione fiscale, al confronto, è un brufolo in mezzo alla fronte: più antiestetico e più evidente, ma forse un po’ meno mortale.