di Davide PASSONI
Da queste pagine non amiamo diffondere allarmismi. Pensiamo che la crisi vada affrontata di petto, a testa alta ma senza incoscienza. Eppure siamo comunque grati a chi, con la sua opera quotidiana di studio e analisi, mette in luce i tanti aspetti critici del nostro sistema economico e produttivo.
Questa volta tocca a Confesercenti, che con uno studio sulle ricadute fiscali degli ultimi provvedimenti governativi sulle Pmi ha messo in luce come tra queste stia crescendo la preoccupazione per la morsa nella quale vengono sempre più strette, fra balzelli che aumentano e i nuovi maggiori costi che rischiano di abbattersi, solo su di loro, dalla annunciata riforma del mercato del lavoro.
Un esempio? Secondo Confesercenti, un piccolo imprenditore – fatturato 50mila euro, con un locale dove operare di 100 mq. – dovrà sopportare un onere aggiuntivo annuo che oscilla fra i 3530 euro e i 5180 a seconda della località in cui opera. tanta roba, specialmente di questi tempi.
Una mazzata che è la conseguenza dell’aumento dei contributi sociali (450 euro nel 2012, fino a e 1200 nel 2018), dei costi amministrativi che seguono l’uscita dal regime dei minimi su 500mila situazioni (1500 euro), dell’aumento dell’Imu (dai 700 euro di Milano fino ai 1600 di Roma), della nuova tassa dei rifiuti (30 euro) e del mancato trasferimento sui prezzi di metà dell’aumento dell’Iva (850 euro).
Una pioggia di ritocchi che si può facilmente semplificare:
IVA: aumento dell’aliquota ordinaria (dal 20% al 23,5%) e di quella ridotta (dal 10% al 12,5%), per un maggior prelievo di 20 miliardi e 600 milioni;
Tassa rifiuti: +1 miliardo all’anno, che grava soprattutto su locali commerciali e laboratori artigiani;
Aumento contributi per artigiani e commercianti: tra i 1200 e i 2000 euro l’anno, totale di 2,7 miliardi di euro;
Spese di passaggio al regime semplificato: oltre 1500 euro l’anno.
Avete notato? Su quattro voci, tre parlano di aumenti di tasse e imposte. Ma dove vogliamo andare? Lo abbiamo già scritto ieri: costruire gli avanzi primari dello Stato senza cedere parte del patrimonio dello Stato stesso e senza alleggerire la pressione fiscale sulle imprese, per far ripartire la crescita, è un’operazione a perdere. Lo dice anche Confesercenti, secondo cui “è profondamente sbagliato e assai poco lungimirante caricare le Pmi di nuovi oneri sul lavoro proprio mentre è in atto un forte appesantimento degli oneri sul piano fiscale e i consumi calano in modo sempre più allarmante“.
Pensare di risanare i conti pubblici soprattutto per via fiscale – lo ha fatto il contestatissimo governo Berlusconi, lo sta facendo di nuovo e di più il governo Monti (ma pare che nessuno se ne accorga…) – è una prassi che genera mostri. Sia su chi si ritrova delle buste paga leggerissime, sia su chi queste buste paga le deve erogare. E magari scopre di non essere più in grado di farlo, perché da una parte la crisi e dall’altra il fisco vorace gli hanno portato via tutto. A volte persino la dignità e la voglia di continuare non solo a essere imprenditore, ma anche la voglia di vivere.