Il certificato medico attestante lo stato di malattia del dipendente può essere contestato dal datore di lavoro. Se ha motivo di ritenere insussistente la denunciata malattia del lavoratore. A sostenerlo, facendo riferimento a una “giurisprudenza consolidata”, un parere della Fondazione Studi dei consulenti del lavoro. In particolare, si sottolinea, il datore di lavoro può domandare in giudizio la verifica dell’attendibilità della certificazione prodotta dal lavoratore, anche laddove non abbia richiesto una visita di controllo.
Infatti, si spiega, “il controllo delle assenze del lavoratore per infermità previsto dall’articolo 5, legge 20 maggio 1970, n. 300, non costituisce l’unico mezzo concesso al datore di lavoro per contestare l’attendibilità del certificato medico prodotto dal lavoratore, che può sempre mettere in dubbio tale certificazione mediante il ricorso all’autorità giudiziaria“.
“Ciò -prosegue- in quanto la natura di atti pubblici dei certificati redatti da medici appartenenti al servizio sanitario nazionale conferisce a tali documenti la fede pubblica, fino a querela di falso, per ciò che concerne i seguenti fatti: la provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato; i fatti che il pubblico ufficiale medesimo attesta di aver compiuto o essere avvenuti in sua presenza. Viceversa, la fede pubblica non si estende alla diagnosi, e dunque ai giudizi del sanitario relativi allo stato di malattia e all’impossibilità temporanea della prestazione lavorativa. Tali valutazioni, pur essendo dotate di un elevato grado di attendibilità in ragione della qualifica funzionale e professionale del pubblico ufficiale, non sono vincolanti per il giudice, che può anche decidere di sconfessarle in presenza di elementi probatori di segno contrario”.
Per i consulenti del lavoro, infatti, la legge “lascia integro il potere-dovere del giudice di merito di controllare l’attendibilità degli accertamenti sanitari, avvalendosi dei poteri istruttori che gli conferisce il rito del lavoro”. E, ricordano gli esperti, proprio nel giudizio di valutazione attestante l’effettivo stato di malattia del dipendente, è stato accordato rilievo a una serie di circostanze, a cominciare dall’incongruenza tra la prognosi (ad esempio, numerose settimane di malattia) e la diagnosi, ma anche tra la prognosi (o la diagnosi) e la terapia prescritta al lavoratore può invalidare la certificazione medica.
Ancora, è stato accordato rilievo alla “tardività della visita medica rispetto all’inizio della malattia, che ha privato di attendibilità una diagnosi riferita ai periodi pregressi” o alle “circostanze complessive di fatto e il comportamento del lavoratore: ad esempio, il giudice può rilevare l’incompatibilità tra la malattia denunciata e la condotta del lavoratore, sorpreso a svolgere un’altra attività lavorativa”.
Ci può essere poi “il contrasto di valutazioni tra il contenuto del certificato del medico curante del lavoratore e gli accertamenti compiuti dal medico di controllo: in tal caso, il giudice di merito non deve recepire acriticamente la certificazione ufficiale, ma deve compiere un esame comparativo tra i due certificati al fine di stabilire quale delle due contrastanti certificazioni sia maggiormente attendibile“. Anche l’omessa visita al paziente può costituire, infine, un valido motivo di contestazione del certificato medico.