di Mirko ZAGO
Le imprese italiane sono sotto la morsa del credit crunch. Il termine anglosassone che ormai riecheggia sulle pagine dei quotidiani e in rete da qualche mese, è diventato una vera minaccia per le piccole e medie imprese, ancora una volta sotto la stretta della difficoltà di accedere al credito. Come se non bastasse l’eccessivo tempo perso a batter cassa specie alla pubblica amministrazione, che ancora si macchia della colpa di ritardi ingiustificabili, partecipa a mettere quotidianamente in ginocchio decine di attività produttive.
Dinnanzi ad una situazione così preoccupante, sono ormai intervenuti tutti, dai politici, agli amministratori, ai responsabili d’impresa con risultati felici sulla carta ma sconfortanti nella realtà, questa la situazione fino a ieri. La decisione dell’ inasprimento dei requisiti patrimoniali delle banche da parte dell’Europa con l’entrata in vigore imminente di Basilea 3, ha creato non poca confusione nell’humus delle banche italiane, che si sono sentite colpite ingiustamente, dopo la promozione a pieni voti a seguito degli stress test della scorsa estate. Ripatrimonializzare potrebbe voler dire chiudere ancor più i rubinetti dei prestiti alle imprese. Le imprese piccole e medie, che rappresentano il 92% del tessuto impreditoriale nazionale, già stremate da continui rallentamenti si vedrebbero d’improvviso costrette a sopportare d’improvviso gli effetti di una tirata di freno a mano.
Dalla Banca d’Italia si viene a sapere che negli ultimi 3 mesi del 2011, i prestiti erogati dal sistema bancario alle imprese hanno subito una diminuzione dell’1,5% e nelmese di dicembre addirittura 2,2%. La Cgia di Mestre come molti altri, denuncia: “Questi dati confermano che ci troviamo di fronte ad una vera e propria stretta creditizia. Le banche hanno chiuso i rubinetti del credito ed in una fase recessiva, come quella che stiamo vivendo in questo momento, corriamo il rischio che il nostro sistema produttivo, costituito prevalentemente da piccole e piccolissime imprese, collassi”. Il segretario Giuseppe Bortolussi prosegue: “Nel 2011 le insolvenze in capo alle imprese italiane hanno toccato gli 80,6 miliardi di euro, con un incremento rispetto l’anno precedente pari al + 36%. Questa situazione ha sicuramente indotto molti istituti di credito a ridurre i prestiti soprattutto a quelle realtà produttive che non erano più in grado di dimostrare una certa affidabilità”. La difficoltà a reperire capitali è un dramma per il 51,3% delle imprese. Il fatto che l’86,2% di esse non si affiderà ad isituti di credito per reperire risorse illustra chiaramente la scarsa fiducia e la difficile situazione in cui ci si trova. Non fosse anche per gli aumenti registrati in agosto del costo medio dei nuovi finanziamenti alle imprese, salito al 3,4 per cento (una maggiorazione di mezzo punto percentuale).
Come riuscire a librarsi in volo dunque, visto le premesse pessime? Spiragli ci sono per quanti riescono ad arricchire il proprio biglietto da visita, dimostrando alle banche di possedere una buona capacità di esportazione, un ottimo business plan articolato e al tempo stesso credibile e possibilità e volontà di investire nell’innovazione. Fondamentali saranno anche gli interventi politici. Ambra Redaelli, presidente del comitato regionale Piccola Industria e responsabile credito per Confindustria Lombardia rende noto che “alla luce delle persistenti difficoltà Confindustria e Abi si stanno confrontando per valutare le iniziative per uscire da questa crisi: la riapertura della moratoria, che è stata tanto utile durante la prima crisi, sarà riproposta per chi non ne ha ancora usufruito”.
Al fine di rimediare ai ritardi nei pagamenti, alcune banche come ad esempio Mps, stanno prevedendo strumenti ad hoc che aiuteranno le imprese a far fronte ai tempi intermedi tra la richiesta di pagamento e l’incasso concreto. Altri soggetti che possono compartecipare a risolvere i problemi sono la cassa depositi e prestiti, le regioni, le camere di commercio, i confidi, il fondo italiano di investimento, la Sace, senza contare la Banca Europea e il Fondo Europeo per gli investimenti che sono responsabili dello sblocco di gran parte dei fondi salva imprese. Anche la politica sta finalmente dando risposte concrete. Il governo Monti ha disposto sei miliardi di euro per ridurre il debito della Pa verso i privati e previsto l’adozione entro sei mesi dei decreti per attuare la direttiva Ue. Una virata verso il salvataggio, giusto ad un passo dallo scontro con l’iceberg.