L’unico settore a resistere alla crisi è quello degli alimentari. Abbigliamento, calzature, elettrodomestici, mobili e tecnologie sono invece in caduta libera. E’ quanto denuncia Confcommercio, che, in base ai dati registrati dall’ultima indagine Istat, evidenzia come le vendite al dettaglio nel 2011 siano calate dell‘1,3% rispetto al 2010.
Le vendite degli alimentari restano ferme e il non food scende dell’1,8 %. Si tratta del dato peggiore dal 2009, e se si guarda alle vendite al dettaglio dello scorso dicembre (-1,1%) si tratta del ribasso più forte dal luglio 2004. Se letto in retrospettiva a un anno, l’indice grezzo del -1,1% di dicembre 2011 segna un calo del 3,7% rispetto allo stesso mese del 2010: le vendite di prodotti alimentari sono diminuite dell‘1,7%, quelle dei beni non food del 4,4 %
Confrontando i dati con novembre 2011 le vendite sono diminuiti sia per i prodotti alimentari (-1,0%) sia per quelli non alimentari (-1,2%).
Sul fronte degli esercizi di vendita, Istat ha registrato una flessione rispetto al 2010 sia per le vendite della grande distribuzione (-3,9%), sia per i piccoli negozi (-3,5%). Le diminuzioni tendenziali riguardano sia gli esercizi non specializzati (-4,2%) sia quelli specializzati (-1,9%). Aumentano invece le vendite solo per i discount alimentari (+1%), mentre diminuiscono quelle degli ipermercati (-4,4%) e dei supermercati (-2%).
“Il potere di acquisto delle famiglie è in caduta libera, per di più intaccato dalla manovra economica e dalla forte crescita dei prezzi, anche sulla spinta dell’aumento dei carburanti” denunciano Rosario Trefiletti di Federconsumatori ed Elio Lannutti di Adusbef. “Non sorprende il calo delle vendite. Il costo della spesa alimentare è salito in media del 5%, per un aggravio di spesa pari a 350 euro l’anno per famiglia” sottolinea Adoc. Punta invece all’abbattimento della pressione fiscale indiretta e diretta per far riprendere i consumi Adiconsum, mentre Federdistribuzione avverte: “La situazione dei consumi è preoccupante e un nuovo aumento dell’Iva metterebbe ulteriormente a rischio il potere d’acquisto delle famiglie”.