di Davide PASSONI
Ah! Lo aspettavamo, lo aspettavamo! Ci mancava solo questo! Uno dei tributi più odiosi di questo Paese, il canone Rai (secondo, forse, solo al bollo auto), oltre a essere inviso a milioni di privati cittadini ora diventa uno spauracchio anche per i professionisti e i lavoratori autonomi, che in questi giorni si sono visti recapitare da mamma Rai la richiesta di pagamento del canone per il possesso di apparecchi come pc e simili, persino smartphone, normalmente non finalizzati alla ricezione di programmi tv. Perché? Perché in base a un Regio Decreto del 1938 sono sottoposti a canone tutti gli “apparecchi atti o adattabili alla ricezione delle trasmissioni radiotelevisive indipendentemente dalla qualità o dalla quantità del relativo utilizzo”. Del 1938! Quando la tv era la fantascienza e internet l’inimmaginabile.
Eppure, professionisti e autonomi, già tartassati e additati dai più come sporchi evasori, si sono trovati nella cassetta delle lettere questo avviso: “La informiamo che le vigenti disposizioni normative impongono l’obbligo del pagamento di un abbonamento speciale a chiunque detenga uno o più apparecchi atti o adattabili alla ricezione di trasmissioni radiotelevisive al di fuori dell’ambito familiare, compresi computer collegati in rete indipendentemente dall’uso al quale gli stessi vengono adibiti”. Importo minimo: 200,91 euro. Per uno scherzetto che, secondo Rete Imprese Italia, costerà alle imprese stesse 980 milioni. E allora sul web (twittate? Seguite l’hashtag #raimerda) monta la protesta – giusta, giustissima -, il mondo delle imprese protesta, le associazioni dei consumatori s’incazzano e persino i parlamentari dei vari schieramenti (di cui la Rai è espressione ed estrusione malata – paradosso nel paradosso…) si dicono allibiti.
Una follia. Totale. Visto che, estendendo l’interpretazione del decreto, anche tablet e smartphone finirebbero nel gorgo. Visto che i computer in rete utilizzati da aziende e professionisti a tutto servono fuorché a guardare la tv (chi ha tempo di guardare le porcherie della Rai mentre lavora a un bilancio o a un armadio a 8 ante?). Visto che, di norma, un tributo si paga per avere in cambio dallo Stato servizi all’altezza e che, diciamolo senza essere qualunquisti, il servizio che Rai eroga è in media piuttosto mediocre.
E naturalmente, come al solito, se non si paga entro i termini sono more su more, minacce, sigilli, ganasce, pignoramenti. Come al solito. Come al solito in uno Stato che pretende da noi rigore e puntualità nei pagamenti ma che, quando è lui a doverci dei soldi (perché si è sbagliato e, di fatto, ce li ha rubati), si fa tempi, leggi e procedure da se stesso, per prendersela comoda, prendere tempo e persino di evitare di pagare. Chiedete a quelle imprese, poveracce, che vantano crediti inesatti nei confronti della PA.
Uno stato presunto etico che applica due pesi e due misure nel dare e nell’avere, che sanziona (giustamente) chi sbaglia ma non ammette di sbagliare, che si nasconde dietro al potere delle leggi per spremere i cittadini-sudditi nei modi più assurdi. Anche chiedendo loro i soldi con questa porcheria del canone e dei pc, con un decreto dell’anno di grazia 1938, XV E.F. Ma vogliamo dire basta una buona volta?