I lavoratori in nero, ovvero coloro che, pur producendo e guadagnando, rimangono invisibili agli occhi del Fisco, sono quasi 3 milioni.
Si tratta di una cifra enorme, se si considera che questo piccolo esercito produce circa 100 miliardi di Pil irregolare, pari al 6,5 del Pil nazionale.
Per quanto riguarda le risorse pro capite, si tratta di evasioni fiscali annue di 709 Euro di media.
Sono dati resi noti dalla Cgia di Mestre, commentati così dal segretario della Cgia Giuseppe Bortolussi: “L’economia sommersa ha ormai assunto connotati molto preoccupanti. Tuttavia, le differenze territoriali sono evidentissime. Oltre il 40% dei lavoratori in nero, del valore aggiunto prodotto dall’economia sommersa e del gettito di imposta evasa, sono riconducibili alle Regioni del Mezzogiorno, mentre il Nordest, sempre additato come un’area ad alta vocazione al sommerso, è la macro area meno interessata da questo fenomeno.”
La regione più ad richio risulta essere la Calabria, con 184.000 lavoratori in nero e un’incidenza percentuale del valore aggiunto da lavoro irregolare sul Pil pari al 18,3% e 1.333 euro di imposte evase.
Questa situazione, ovviamente, non giova al Paese e certo non contribuisce a farlo risollevare. Anzi, a questo proposito, le stime che riguardano la condizione economica e finanziaria italiana sono da correggere per difetto.
Anche se, Bortolussi vuole aggiungere una provocazione, che dovrebbe far riflettere sullo stato in cui versa l’Italia: “Il sommerso costituisce un vero e proprio ammortizzatore sociale. Sia chiaro, nessuno di noi vuole esaltare il lavoro nero, spesso legato a doppio filo con forme inaccettabili di sfruttamento, precarietà e mancanza di sicurezza nei luoghi di lavoro. Tuttavia, quando queste forme di irregolarità non sono legate ad attività riconducibili alle organizzazioni criminali o alle fattispecie appena elencate, costituiscono, in questi momenti così difficili, un paracadute per molti disoccupati o pensionati che non riescono ad arrivare alla fine del mese“.
Vera Moretti