Ormai è un dato di fatto: Internet è un motore economico di straordinaria potenza, capace di creare posti di lavoro e ricchezza. Attraverso il web qualsiasi impresa può aprirsi a nuovi mercati, altrimenti inaccessibili, e recuperare così competitività. Certo, questo richiede uno sforzo di modernizzazione considerevole, ma il gioco vale sicuramente la candela.
Fin qui, tutti d’accordo. Ma esattamente quanto incide Internet sulla crescita economica di un Paese? Oggi, grazie ad un recente studio condotto dal colosso svedese Ericsson, in collaborazione con la società di consulenza Arthur D. Little e la Chalmers University of Technology, abbiamo numeri e dati certi a nostra disposizione.
Nello specifico, l’indagine in questione ha misurato il rapporto tra la velocità di connessione a banda larga e il PIL in 33 paesi dell’OCSE, tra cui l’Italia: secondo quanto emerso, a un raddoppio della velocità online corrisponde un aumento del Prodotto Interno Lordo pari allo 0,3%, oltre un settimo del tasso annuale di crescita medio fatto registrare dagli stati membri dell’organizzazione nell’ultimo decennio.
Gli effetti economici positivi che Internet è in grado di produrre sono stati suddivisi in tre gruppi: diretti, ossia nel breve termine (per esempio, nuovi posti di lavoro per realizzare le necessarie infrastrutture); indiretti, quando l’orizzonte temporale si dilata (maggiore efficienza complessiva a livello produttivo); indotti, derivanti cioè dall’introduzione di servizi di pubblica utilità d’avanguardia e modelli di business innovativi (telelavoro).
L’Italia purtroppo non brilla in nessuna di queste tre categorie. Anzi, da questo punto di vista, la situazione negli ultimi anni è andata progressivamente peggiorando.
Secondo un rapporto redatto dalla società di consulenza McKinsey in occasione del G8 dello scorso maggio, infatti, il digital divide che ci separa dalle maggiori potenze mondiali è preoccupante: solo per fare un esempio, negli ultimi quindici anni i posti di lavoro creati da Internet nel nostro paese sono stati 700mila, contro 1 milione e 200mila in Francia. Anche per quanto riguarda la penetrazione della fibra ottica i dati non sono incoraggianti: alla fine del 2010 con 348mila abbonati l’Italia figurava al penultimo posto nella classifica europea, davanti solo alla Turchia.
Nonostante i numerosi appelli alle istituzioni, gli investimenti nella banda larga sono stati finora insufficienti. L’ultima doccia fredda è arrivata con la nuova bozza della legge di Stabilità: i 770 milioni derivanti dall’asta per le frequenze 4G, che originariamente sarebbero dovuti andare alle telecomunicazioni, sono stati invece dirottati verso la Pubblica Istruzione e il Tesoro.
Senza una decisa inversione di tendenza, l’Italia rischia di restare al palo. E con l’attuale congiuntura economica sfavorevole, nessuno può permettersi di tenere spento un motore economico potente come Internet.
Manuele Moro