La crisi greca prosegue imperterrita causando gravi instabilità al Paese sia sul piano politico che sociale. La riprova sono i duri scontri che ancora seguono nelle città alimentati da un movimento che da nazionale è divenuto internazionale con un forte contagio spagnolo. E’ stata proprio la Spagna a partorire il movimento 15-M (Quinze de Mayo, dal giorno della sua nascita con le proteste alla Puerta del Sol a Madrid) e fare da culla alla sua crescita, un movimento esteso e organizzato di “Indignados (qui il termine arriva originariamente dalla Grecia, dove a giugno le persone stanche si sono dichiarate “aganaktsismenoi” indignati appunto).
Questo folto gruppo colorito, composto da operai, giovani, meno giovani, impiegati, studenti, artisti, politicizzati e apolitici rivendicano una ricchezza condivisa e soprattutto la fine delle speculazioni che hanno portato alla rovina il Paese.
A loro si affiancano anche i manager, grandi e piccoli. Questi responsabili d’azienda criticano le scelte politico-economiche azzardate degli ultimi anni, come la scelta compiuta nel 1992 di tassare maggiormente le aziende che assumevano lavoratori al primo impiego, causando un innalzamento spropositato dell’età dei lavoratori e aumentando la disoccupazione. Ad oggi, secondo l’istituto di ricerca Ine-Gsee, i due terzi dei dipendenti hanno più di 43 anni e la disoccupazione ben superiore al 16%.
Stando a quanto affermato dall’autorità di statistica greca (Esa) la produzione industriale in Grecia è calata dell’11,7% in agosto rispetto allo stesso periodo di un anno fa. A luglio, sempre su base annuale, la produzione industriale era scesa del 2,8%. A pesare sul dato negativo è il crollo della produzione manifatturiera (-11% su un anno), a cui si aggiunge un calo del 5% della produzione mineraria mentre l’indice della produzione di elettricità segna un pesante -16,7%. Agli scioperi dei giorni scorsi (giudici, dipendenti del ministero delle Finanze, medici della previdenza sociale, dipendenti dell’ufficio delle imposte, addetti alla raccolta della spazzatura) faranno eco il 19 e 20 ottobre lo sciopero generale proclamato dalle due maggiori organizzazioni sindacali del Paese – l’Adedy e la Gsee – che raggruppano rispettivamente i lavoratori del settore pubblico e di quello privato.
Per evitare il collasso definitivo (già profetizzato da pochi giorni da UBS Wealth Management Research che sostiene che la bancarotta sia inevitabile) gli industriali greci, diretti da Dimitri Mathios, arrivano a Roma a raccontare le loro difficoltà e presentare le loro proposte per colmare il “buco”. “La Grecia sarebbe un Paese ricco -afferma Mathios – abbiamo la più grande flotta mercantile del mondo, siamo uno dei primi dieci Paesi per flussi turistici. Eppure nessuno dei nostri armatori costruisce le sue navi in Grecia“. Un altro modo per dire che è la Grecia per prima a non credere in se stessa. Come spiegare altrimenti che in un Paese di dieci milioni di abitanti, negli ultimi trent’anni sono state fatte un milione di assunzioni nel pubblico impiego? Perché è quella la prima causa della crisi: “Il settore pubblico è ipertrofico, è stato sfruttato da tutti i partiti che si sono succeduti al governo. Ora tutta questa gente costa allo Stato 56 milioni di euro l’anno, fra stipendi e pensioni. Per pagare tutto ciò, la Grecia ha preso soldi dalle tasse e si è indebitata fino a creare quel buco da oltre 350 miliardi di euro che oggi tutti hanno ben chiaro. Ma che nessuno conosceva prima dello scoppio della crisi“.
La situazione non è certo facile. Tra il 2009 e 2010 sono state chiuse 100mila piccole e medie imprese e per il 2011 si prevede che chiuderanno i battenti almeno altre 105mila. Questi numeri si traducono in pesanti licenziamenti, mentre per Mathios dovrebbero essere i lavoratori del pubblico ad essere tagliati, «almeno 20mila», sostiene. Secondo il suo pensiero tagliare posti di lavoro operativi e creativi equivale ad un suicidio. E prosegue con la sua ricetta che rispecchia quella degli industriali che rappresenta: “In primo luogo non bisogna imporre nuove tasse, ma ridurre la burocrazia per le imprese, e sostenere i giovani. Poi, abbiamo bisogno che le sovvenzioni pubbliche agli investimenti stranieri in Grecia non soffrano nessun passaggio burocratico e soprattutto che non vadano in mano alle banche, che li trasformerebbero in strumenti finanziari. Infine, abbiamo bisogno di un sistema impositivo chiaro e stabile, almeno per un decennio, non di tasse che cambiano all’improvviso”.
Rivolto all’Europa (in platea nell’incontro di Roma c’era anche Antonio Tajani, vicepresidente della Commissione Ue), Mathios lancia l’appello: “Non costringa le nostre banche a restiruire il 50% del debito. Non ce la faremo mai, le banche fallirebbero e lo Stato sarebbe costretto a comprarle, con conseguenze inimmaginabili”.
Mirko Zago