L’Ufficio Studi di Confcommercio ha messo a punto un’interessante analisi, “I costi della rappresentanza politica in Italia“, dalla quale emerge una fotografia impietosa degli sprechi e dei costi legati alla politica italiana. Secondo Confcommercio, infatti, la scarsa efficienza dell’apparato pubblico insieme all’eccessivo livello di spesa pubblica rendono indispensabile agire anche su questo fronte per ridurre la pressione fiscale su famiglie e imprese.
Una possibile azione di contenimento della spesa pubblica potrebbe partire proprio dai costi della rappresentanza politica che, in Italia, ammontano a oltre 9 miliardi di euro l’anno, poco più di 350 euro per nucleo familiare, circa 150 euro a testa.
Applicando ai circa 154mila rappresentanti politici dei vari organi nazionali e locali l’ipotesi della riduzione di poco più di un terzo del numero dei parlamentari si avrebbe un risparmio di spesa di oltre 3,3 miliardi all’anno, una cifra sufficiente a ridurre in modo permanente di circa 8 decimi di punto la prima aliquota Irpef a beneficio di oltre 30 milioni di contribuenti; in alterativa il risparmio permetterebbe di ottenere permanentemente una somma di 2.900 euro all’anno da destinare a tutte le famiglie in condizioni di povertà assoluta. Sarebbe in ogni caso la più grande ed efficace operazione di redistribuzione mai effettuata nel nostro Paese.
Da molti anni la spesa pubblica nel nostro Paese si mantiene stabilmente al di sopra del 50% del Pil. È un dato comune alle principali economie europee, anche esse ispirate al modello che intende contemperare esigenze del mercato e coesione sociale, ma che presenta, nel caso dell’Italia, la scarsa efficienza dell’apparato pubblico e la modesta capacità delle politiche redistributive di attenuare/ridurre le disuguaglianze dal lato dei redditi. Ciò sarebbe possibile solo attraverso una graduale riqualificazione e una progressiva riduzione della spesa pubblica.
Nella definizione del perimetro dei costi, Confcommercio ha adottato un’impostazione restrittiva. Inoltre, per ragioni logiche e per l’esigenza di semplificare i conteggi, non è stata inserita nei costi della politica la spesa delle Pubbliche Amministrazioni per trattamenti di quiescenza. Sotto questo profilo, Confcommercio propone una possibile tassonomia dei costi della rappresentanza politica, distinguendo tra costi monetari e costi non monetari. I primi si suddividono in costi diretti (di rappresentanza), cioè riferiti agli emolumenti dei rappresentanti (eletti), costi di funzionamento, comprendenti sia le remunerazioni per personale dipendente e per le collaborazioni (costi indiretti), sia gli acquisti di beni e servizi intermedi della pubblica amministrazione (costi gestionali), strumentali all’esercizio effettivo della rappresentanza politica, e altri costi.
Nel complesso i costi monetari misurabili della rappresentanza politica, calcolati per il 2009, superano i 9,1 miliardi di euro e quindi, considerando i quasi 25 milioni di famiglie e gli oltre 60 milioni di abitanti, i costi della rappresentanza politica valgono circa 367 euro per nucleo familiare, pari a 152 euro a testa.
Quasi il 77% dei costi monetari è costituito dalle spese di funzionamento delle strutture di supporto alle assemblee legislative nazionali e locali. All’interno di queste, le sole spese denominate indirette, corrispondenti alla remunerazione dei dipendenti pubblici che operano in funzione di staff, valgono poco meno del 47% dei costi monetari totali. I costi diretti, invece, che rappresentano il totale delle indennità di funzione e di carica corrisposte ai rappresentanti politici, pesano per oltre il 19% del totale.
Infine, per ogni euro di risparmio sugli sprechi della politica, una catena di “euro” viene potenzialmente risparmiata grazie al fatto che le relazioni socio-economiche della collettività diventano più fruttuose e più dirette, grazie alla ridotta intermediazione e alla limitata invadenza della politica.