Le piccole imprese della provincia di Roma hanno registrato un preoccupante calo del 36% nel fatturato, portando così in evidenza una crisi ancora molto evidente.
Questi dati, pur appartenendo ad una sola provincia, fanno presagire una situazione di emergenza anche per il resto del territorio, dal momento che, secondo Danilo Martorelli, presidente del Cna Lazio, “Roma è il nocciolo duro della Regione”. Le sue parole non sono incoraggianti ma, ahimè, realistiche, dal momento che i piccoli artigiani non se la passano bene, né a Roma, né altrove.
La Cna della Capitale attesta che ben il 91,6% degli imprenditori “non ritiene che il territorio abbia recuperato le potenzialità di sviluppo del periodo precedente alla crisi, e nel 93,1% casi pensano di non essere adeguatamente supportati dalle amministrazioni locali”.
Questo pensiero farebbe pensare ad un crollo imminente di utili e fatturato, con un ulteriore peggioramento delle possibilità di occupazione giovanile. Dati alla mano, infatti, già oggi un giovane su tre non trova lavoro e non sembra esserci uno spiraglio di miglioramento, se anche le imprese ben avviate si sentono lasciate sole per il ben 94%.
A dare manforte a questo pensiero è il presidente di Confartigianato Lazio, Cesare Cocchi, il quale rincara la dose: “Anche se la Regione ha dalla sua le risorse che provengono dal turismo , pur penalizzato, e tutte quelle attività difficilmente delocalizzabili, le nostre imprese fanno fatica ad incrementare l’occupazione italiana sul territorio“.
A peggiorare le cose, poi, c’è la concorrenza dei lavoratori stranieri, spesso non in regola, ma anche i giovani hanno una fetta di colpa, quando sono “restii a fare turni di notte quando a casa hanno genitori che li assecondano in tutto“.
Ma a difendere le categorie giovani interviene ancora Martorelli, il quale ammette che sono demotivati, per nulla incentivati dalla meritocrazia e, quindi, obbligati, se in gamba, a trasferirsi all‘estero.
Martorelli e Cocchi si trovano d’accordo nell’individuare uno dei problemi principali nella difficoltà delle banche ad erogare il credito. La realtà è ben diversa dagli spot ottimisti che vediamo in televisione, e la crisi continua senza speranza che passi presto, anche a causa, secondo Cocchi, della globalizzazione e dell’euro. Anche Martorelli rincara la dose, puntando contro Europa ma anche contro una maggioranza non in grado di risolvere i problemi spinosi che attanagliano l’economia italiana.
“Lo Stato impari a spendere bene. Quale Paese ha le nostre spese per mantenere il Palazzo? Quale Paese è costellato da comunità montane che potrebbero essere facilmente razionalizzate? Si teme di infrangere privilegi, ma chi resterebbe a casa potrebbe forse dedicarsi davvero a fare del bene a questo Paese, anziché occupare poltrone“. Accuse gravi e precise, le sue, ma non pronunciate a vanvera, piuttosto, a seguito di riflessioni e osservazioni precise, per chi, come lui, è un addetto ai lavori.
Le Pmi, infine, vengono descritte come in balìa dei mercati azionari, piene di incertezze e totalmente dipendenti dal “balletto della politica”.
Spetta a Martorelli la conclusione: “Ritengo che il dulcis in fundo sia l’incertezza che riguarda oggi l’Ice, l’istituto per il commercio estero. È da ripensare con logiche più dinamiche e moderne, questo è certo, ma sopprimerlo significa togliere a noi piccole imprese lo strumento per aggredire i mercati. Attendiamo risposte anche su questo fronte“.
Vera Moretti