Quando si parla di gender pay gap si intende affrontare l’annoso problema delle disparità di salario fra uomini e donne, risultato statisticamente poco significativo a parità di posizioni di responsabilità.
A dirlo è lo studio emerso nel corso del convegno Gender pay gap: dati reali e luoghi comuni, organizzato dall’Osservatorio sul Diversity Management della SDA Bocconi School of management, in collaborazione con Hay Group.
Secondo la ricerca, infatti, tenute conto le posizioni di uguale complessità, il divario di genere maschio-femmina, nel nostro Paese, riguarda una percentuale davvero esigua, pari al 5%.
Detto questo, lo studio ha analizzato un campione di 222 aziende del settore privato (147 italiane e 74 subsidiary di multinazionali estere) per un totale di oltre 8 mila dirigenti.
I ricercatori spiegano: “Facendo la media dei salari di uomini e donne del campione, il fenomeno GPG è del 12,5%, ma il vero problema non è tanto il ‘paygap’ quanto piuttosto il ‘soffitto di vetro’, cioè la difficoltà da parte delle donne ad accedere a ruoli di alta responsabilità, ovvero quelli più retribuiti.“
E non è tutto: le donne sono in genere maggiormente impiegate in funzioni aziendali ripagate con un salario più basso, e, con l’aumentare del grado di complessità della posizione in azienda, la busta paga maschile cresce più velocemente del 2,7% in più rispetto a quella femminile.
Nascono così due forme di “segregazione”: una che è di tipo verticale e che vede il numero delle donne diminuire al crescere della complessità del ruolo/posizione, l’altra, di tipo orizzontale, che determina una distribuzione omogenea di uomini in ogni settore di business, mentre quella delle donne spicca solo in alcuni settori, ovvero:
- non alimentare (21,5%),
- farmaceutico (21%)
- servizi (18%).
“All’interno delle aziende, poi, la presenza femminile è più concentrata nelle funzioni di:
- marketing (26,3%),
- risorse umane (23,7%)
- amministrazione (19,6%).
Infine, se si considerano gli aggregati di famiglie professionali, le donne sono più presenti nelle funzioni di staff (19,3%) rispetto a quelle di linea (8,7%).”