di Gianni GAMBAROTTA
Francamente non avrebbe potuto essere gestita peggio la vicenda del rinnovo dei vertici Telecom conclusasi lunedì scorso con l’uscita dalla presidenza di Gabriele Galateri, il passaggio al suo posto di Franco Bernabè (che al titolo di presidente aggiunge quello di “esecutivo”, definizione che non esiste nel diritto societario italiano) e la nomina di Marco Patuano ad amministratore delegato e di Luca Luciani a direttore generale con competenza sul Sudamerica, cioè capo di Tim Brasile vera cash cow del gruppo. Dico così perché con questo giro di walzer voluto dagli azionisti si è riusciti solo a dare un’immagine di divergenza fra partner e allo stesso tempo a indebolire la gestione dell’azienda che avrà ora un management diviso e, verosimilmente, in conflitto.
Quando scadono per termine di mandato i vertici di un grande gruppo qual è la Telecom, di solito si agisce così: se si ritiene che il management abbia ottenuto risultati positivi, che abbia agito nell’interesse dell’azienda, allora lo si conferma per un altro mandato, salvo (se necessario) aggiungere qualche lieve ritocco all’organigramma deciso in accordo con il management stesso. Se invece il giudizio è di segno opposto, se cioè gli azionisti pensano che quanto fatto dai vertici e in particolare dal capo azienda, sia criticabile, allora si impone una sola soluzione: sostituire tutti.
Nel caso Telecom l’unico invitato a prendere la porta (ma sarà recuperato in consiglio di amministrazione) è il presidente Galateri: operazione a valenza zero perché non aveva alcun potere. Il vero punto sul quale gli azionisti, su sollecitazione di uno dei più importanti fra loro, cioè Mediobanca, hanno agito è stato quello dell’amministratore delegato. Bernabè è stato in questi tre anni indiscutibilmente il capo azienda e da domani non lo sarà più, qualunque cosa dica e cerchi di far credere il suo ufficio stampa che si affanna ad accreditare la versione che il vero numero uno resterà lui. Non è vero: fino a ieri aveva tutte le deleghe, da domani ne avrà soltanto alcune, dall’auditing, ai rapporti con i regolatori, all’immagine e (forse) la finanza. Dunque non metterà più parola sul business che farà capo invece a Patuano e Luciani. Un manager che non decide sul business non è un capo azienda, e non occorre aver studiato molto testi di management e di governance aziendale per dirlo.
Con la soluzione appena adottata sarà una triarchia a guidare Telecom. Ciascuno dei tre manager, al di là dei poteri che gli sono stati affidati formalmente, vorrà primeggiare cercando l’appoggio dei suoi azionisti di riferimento, quelli che gli hanno consentito di salire nei vertici o di non esserne espulso. Normalmente quando succede una cosa simile, per le azienda significa una cattiva gestione assicurata. Speriamo che questa volta non vada così.