Il Consiglio Nazionale Forense ha proposto nella riforma forense il ripristino delle tariffe minime vincolanti per le consulenze di avvocati. Tali minimi sono stati aboliti con il decreto Bersani, come garanzia della qualità della prestazione, nonostante non sia cambiato molto in concreto. I portavoce del Cnf affermano: “come abbiamo spiegato in commissione Giustizia alla Camera, in occasione dell’audizione sulla riforma forense, la giurisprudenza comunitaria e italiana hanno sempre ritenuto legittimo il sistema tariffario, che quindi non è ‘contro l’Europa’. Tra l’altro, ci risulta che l’abolizione dei minimi tariffari non abbia avvantaggiato il singolo consumatore, quanto banche e assicurazioni, che hanno potuto rivedere al ribasso le convenzioni con i loro avvocati“.
Maurizio De Tilla, presidente dell’Oua (Organismo unitario avvocatura italiana) sostiene che la situazione sia disastrosa: “dell’abolizione dei minimi hanno approfittato i grandi gruppi economici che hanno fatto delle vessazioni nei confronti dei giovani avvocati. Alcuni grandi gruppi bancari e assicurativi, non tutti, sono arrivati a pagare anche solo 80 euro a causa, che non servono neanche lontanamente a rientrare dalle spese. E la novità non ha certo influito sul singolo consumatore che punta alla qualità, ha interesse a vincere la causa e di certo non si mette a contrattare il prezzo. Si è creata -sottolinea- solo concorrenza sleale“. Concorrenza a danno dei giovani avvocati che sono il 35-40% del totale.
Se da un lato si ritiene che l’abolizione delle tariffe minime abbia abbassato la qualità delle prestazioni è anche vero che almeno in linea teorica ciò gioca a vantaggio dei consumatori. Va sottolineato “in teoria” poichè secondo le associazioni dei consumatori sono ancora molti i casi di parcelle eccessive che allontanano i consumatori dal proseguire con l’azione legale, rinunciando alla giustizia.
Mirko Zago