di Davide PASSONI
Laura Costato è una bella signora di 45 anni. Una imprenditrice fiera del proprio lavoro e determinata a svolgerlo nel miglior modo possibile. Per questo ha deciso che l’Italia non è più il Paese per lei; dopo essere stata tra le fondatrici del network IMPRESECHERESISTONO e aver lottato per quasi 2 anni contro i muri di gomma della burocrazia, della mala politica e del Fisco, Laura ha deciso di dire basta e di attrezzarsi per trasferire produzione, fabbrica e famiglia in Svizzera. Una storia dura, pesante, che lei stessa racconta a Infoiva in questa lunga intervista, senza peli sulla lingua. Leggetela d’un fiato e riflettete: questa è solo la prima parte, ecco la seconda.
Perché siamo arrivati a questo punto, al punto di dire “basta, chiudo, trasferisco l’attività in Svizzera”?
Alla base c’è la stanchezza di dover lottare quotidianamente per poter fare il mio lavoro e dover lottare in un Paese in cui non c’è nulla che fino ad oggi sia stato programmato per dare sostegno alle difficoltà che incontriamo come Pmi. Tutto quello che è stato pubblicizzato finora, dalla moratoria dei debiti ai fondi messi a disposizione per le Pmi e le microaziende non ci hanno in realtà portato nulla. La stanchezza nasce da qui e dal fatto che, come IMPRESECHERESISTONO, chiediamo da 20 mesi le stesse cose e non abbiamo avuto una risposta in senso positivo né negativo: un silenzio che, a mio parere, è ancora più grave che aver ricevuto una risposta negativa. Si fa passare tutto coperto da una sorta di invisibilità: noi siamo quelli che pagano, che devono stare zitti e andare avanti da soli, in un modo o nell’altro. Io non vedo futuro. Dubito che ci sia un progetto per le Pmi ma che ci siano solo la volontà di non fare nulla o l’incapacità di fare qualcosa; ci dicessero almeno che come target non interessiamo, invece di aspettare e continuare a pagare nel silenzio fino al fallimento totale: chiuderemmo e ciascuno farebbe le proprie scelte.
Chi non risponde?
Non rispondono le banche, le istituzioni, la politica, non risponde nessuno. Da tutte le porte a cui bussiamo come IMPRESECHERESISTONO non arriva risposta. Come network siamo apartitico, dialoghiamo con tutti quelli che si mettono a disposizione, ma purtroppo in Italia c’è una politica a breve termine che è quella del sondaggio: si fanno le cose perché si vuole avere il sondaggio favorevole, ma di politiche a medio e lungo termine non se ne vedono, in nessun campo. Il rovescio della medaglia è che, denunciando queste cose e parlando di Svizzera, ogni volta che esce un articolo, una notizia, un servizio alla tv io sono subissata di mail di aziende che vogliono scappare ma soprattutto di dipendenti senza lavoro o a rischio che mi scrivono “portami con te in Svizzera“. Da tutta Italia. E’ un disagio che non sentiamo solo noi imprenditori, perché oggi la gente ha fame e da questo immobilismo nasce la sfiducia, oltre che da questa politica che si gioca il tutto per tutto per avere un punto in più di sondaggio.
In quanti siete oggi nella sua azienda, la Costato Srl?
Siamo 4 dipendenti e 4 amministratori-lavoratori. Non siamo mai stati un’azienda con enormi possibilità di crescita, in quanto operiamo in un settore di nicchia: vogliamo lavorare e vivere del nostro lavoro in maniera un po’ più dignitosa.
Che mercati avete, o meglio, avevate?
Principalmente l’Italia; avevamo clienti come Piaggio, Candy, Zerowatt, De Longhi, Bosch: tutti spariti o hanno le sedi fuori Italia, qui tendono a tenere quel poco di logistica che serve il mercato locale.
La globalizzazione è dunque davvero un grande dito dietro cui nascondersi per non vedere la vera origine di certi problemi?
Per conto mio sì, perché è un fenomeno che tocca ogni Paese e ciascuno la affronta alla propria maniera. Tanti Paesi almeno ci provano, l’Italia no. Anche in Svizzera c’è crisi, ma la qualità di un Paese si vede dalle misure che mette in campo per fronteggiarla: da noi semplicemente si scantona, si finge di credere che domani le cose cambieranno.
Perché proprio la Svizzera?
Vede, quello che a me attrae della Svizzera è sì la disoccupazione bassa, al 3%, ma anche il fatto che hanno ridotto il debito pubblico con delle politiche mirate e ora cercano di portarsi in casa quelle che loro chiamano produzioni di eccellenza, ma che sostanzialmente sono quelle che fanno stare sul mercato; noi di eccellenza non abbiamo nulla, a parte la capacità di realizzare qualsiasi prodotto nella viteria, che è un know-how che in Italia pochi hanno. Non siamo certo noi che portando quattro dipendenti in Svizzera ne possiamo cambiare le sorti economiche, e come noi tante altre aziende. Loro però si stanno muovendo prima per evitare che, da qui a 10 anni, i giovani svizzeri non abbiano lavoro. Qui invece si fa il contrario: si mandano via o si fanno chiudere le aziende che sono la vera ricchezza del Paese, anche perché sono quelle che pagano.
Le Pmi…
Per quanto possa sembrare antipatico quello che dico, le grandi aziende bene o male chiudono sempre in perdita, pagano un quarto delle tasse che paga la piccola azienda, cadono sempre in piedi e nessuno si chiede mai perché. Non voglio entrare troppo in questo ambito, ma di fatto il portafoglio dell’Italia siamo noi e chi sta nel Palazzo sta chiudendo questo portafoglio, per rappezzare sistematicamente dei buchi di bilancio. Stanno facendo morire il nostro tessuto economico per mettere una pezza a danni creati da loro, ma la coperta è corta. Da qui nasce l’idea di dire, sinceramente, non ci sto, non ci sto. Non credo alle fandonie che si raccontano da due anni a questa parte, che la crisi non è una crisi eccetera. Questa non è una crisi ma un cambiamento di mercato, non è una cosa che si risolve nel medio periodo, per cui si parla di almeno 10-15 anni. se pensano che aziende come la mia possano sopravvivere 10-15 anni con la prospettiva comunque di alzare la tassazione si sbagliano.
Perché?
Faccio un esempio. La moratoria dei debiti delle Pmi è stata sventolata come la panacea di tutti i mali e si è risolta in un anno di interessi non dovuti alle banche che, d’altra parte, hanno già guadagnato; la moratoria è scaduta e ora ci ritroviamo a dover pagare le rate intere in una situazione economica invariata se non peggiorata e in più scopriamo che dobbiamo pagare le imposte di registro anticipate al 31 marzo. Che significa? Che di fronte alla prospettiva di un fallimento di massa lo Stato vuole fare cassa fin che può. Non c’è più logica in quello che si sta facendo. Se uno ha memoria, questi sono gli stessi passi che sono stati fatti in Argentina: salviamo le assicurazioni, salviamo le banche, le aziende morivano e c’è stato il crac. Bisogna capire quando questo crac arriverà: secondo me il Paese non ce la fa a reggere fino alla fine del 2011.