di Davide PASSONI
Controcanto torna con una intervista e, dopo la politica, ora tocca al mondo sindacale. Non sbuffate e mettete via per un attimo i preconcetti. Del resto, i lettori affezionati di Infoiva lo sanno: la nostra testata non è mai stata particolarmente tenera con i sindacati, specialmente con quanti, nel 2011, sposano concezioni anacronistiche del mondo del lavoro e difendono privilegi ormai indifendibili.
Eppure, nei rapporti tra mondo sindacale e libere professioni, qualcosa si muove e dà vita a realtà che guardano con più attenzione all’universo delle partite IVA, forzate o convinte che siano. È il caso di FeLSA-Cisl, che dà voce a somministrati, collaborazioni coordinate, partite iva e lavoratori autonomi. Abbiamo sentito il segretario nazionale Ivan Guizzardi e ci siamo fatti spiegare se e perché può essere virtuosa una collaborazione tra sindacato e partitivisti.
Partiamo da un dato di fatto: i lavoratori a partita IVA si sentono scarsamente rappresentati dai sindacati tradizionali. Perché questo, a suo avviso, e che cosa può dire a questo proposito FeLSA-Cisl?
La Cisl tutela da una dozzina d’anni il lavoro atipico e da una ventina circa i lavoratori autonomi, con una particolarità nella sua azione che nasce dalla cultura, propria di questo sindacato, di tutelare il lavoro in tutte le sue forme, non solo quello dipendente: a noi interessano la rappresentanza e le tutele del mondo del lavoro, è l’elemento cardine su cui ci muoviamo. Detto questo, la sua domanda è pertinente. Non c’è dubbio che la forza e gli interessi dei sindacati coincidono in larga misura, se non nella loro totalità, con quanto deriva loro dal lavoro dipendente. Il passaggio importante è avvenuto una dozzina di anni fa quando, di fronte al crescente fenomeno delle collaborazioni e delle somministrazioni, il sindacato si è reso conto che doveva cominciare a misurarsi con esso e non ne poteva prescindere, che doveva misurarsi con esigenze e bisogni caratterizzati da una tipologia e da una natura nuove. Infatti, i professionisti, nella loro particolarità, hanno esigenze e richieste che c’entrano in pieno con il mondo del lavoro.
E dunque, che fa il sindacato?
Oggi il sindacato è ancora poco rappresentativo nel campo del lavoro autonomo; la Cisl è stata la prima a occuparsene perché ne ha fatto una categoria, una federazione. Se si tiene conto che nella Cisl le federazioni hanno piena titolarità, aver riconosciuto questo è come aver dato dignità alla categoria. Anche gli altri sindacati si stanno ponendo di fronte all’esigenza di rappresentare questo mondo e tutti ci rendiamo conto di non poter trasferire su collaboratori e professionisti una concezione che applichiamo al lavoro dipendente, perché se è vero che molti professionisti lavorano a partita IVA perché obbligati a farlo, è pur vero che moltissimi hanno scelto liberamente di farlo. Io dico che hanno fatto uno scambio tra maggior tutela e maggior rappresentanza con maggiore libertà.
Non devono certo essere “puniti” per questo…
No, certo. C’è gente “subisce” la partita IVA perché non trova la possibilità di un lavoro dipendente e chi invece, tra le altre cose, la sceglie per non dover dipendere dai ritmi e dai diktat di qualcuno: è una scelta che rispettiamo e che pensiamo meriti delle tutele, le quali hanno una loro particolarità ma non sono certo di serie B. Si tratta di accompagnare questa intrapresa personale, che è importante per chi la fa e per l’economia del Paese.
Che cosa cambiare quindi, per introdurre le tutele di cui parla?
Nel mondo delle libere professioni c’è oggi un certo fermento, specialmente intorno a determinati aspetti fiscali, alla mancanza di ammortizzatori sociali ecc… Alcune tutele sono state introdotte e rafforzate dalla legge Biagi, valga per tutti il versamento previdenziale che all’inizio, quando era al 10%, era percepito quasi come una tassa mentre oggi, col versamento del 26,80%, il delta con quello che caratterizza il lavoro dipendente, al 33%, non è più così esagerato. Alla luce di questo, come sindacato riteniamo innanzitutto che, pur nella diversità di tipologia professionale e di scelte di lavoro, il trattamento previdenziale per professionisti e dipendenti debba essere lo stesso. Poi, come secondo punto, si devono rafforzare le tutele. Per esempio, non tutti sanno che all’interno di questo 26,80% c’è uno 0,50% che va in prestazioni e che attualmente dà diritto ad assegni familiari, a una diaria per prestazioni sanitarie e all’assegno di maternità. Noi sosteniamo che questo 0,50% debba essere rafforzato per consolidare il fondo previsto in Finanziaria a tutela di chi ha perso il lavoro e per investire in formazione, fondamentale per questa tipologia di lavoratori. Inoltre, questi soldi devono essere gestiti non dall’Inps ma da un fondo: finché li gestisce l’Inps ha un unico interesse, quello di fare cassa, e l’ente non fa conoscere le prestazioni o quantomeno ne rende difficile l’accessibilità. Ultimo punto, bisogna pensare a forme di previdenza integrativa anche per questo tipo di lavoratori. Su tutto questo FeLSA sta proponendo e approfondendo un ragionamento articolato.
Con quali strumenti e in che sedi?
Quelli di cui ho appena parlato saranno alcuni dei punti che inseriremo nel nostro programma quando discuteremo dello statuto dei lavori; come Cisl vorremmo che queste e altre tutele diventino operative presto. Noi pensiamo che non ci sia un sindacato che deve dire al professionista di che cosa ha bisogno, ma che il professionista, con altri professionisti, costruisca insieme al sindacato gli strumenti a tutela dei propri interessi e dei propri bisogni. Questa è la modalità con cui ci muoviamo. Non a caso, se fino a oggi la Cisl aveva lavoratori iscritti nelle diverse categorie professionali, ora li iscrive direttamente come singoli, in modo da poter costruire con loro queste tutele.
Vi confrontate con gli altri sindacati su queste tematiche?
Sì, ci confrontiamo. Naturalmente Cgil, Cisl e Uil rappresentano di più il lavoro dipendente, ma anche Uil ha recentemente dato vita a UIL Temp.@ per somministrati, atipici e lavoratori autonomi, così come con FeLSA. Con Cgil c’è ancora una distinzione, visto che non ha idea di rappresentare i professionisti direttamente. La nostra posizione è quella di fare degli accordi quadro in cui stabilire alcuni elementi minimali, dal compenso al tipo di prestazioni, inserendo alcune tutele in base alla diverse professionalità. Come sindacato portiamo avanti quest’opera utilizzando il nostro strumento principe, la contrattazione, con gli accordi da un lato e la costitutizone di tavoli con il governo dall’altro.
Che messaggio si sente di lanciare ai partitivisti che leggono Infoiva, che spaziano dal parrucchiere al piccolo imprenditore?
In un mondo in cui i rapporti di lavoro non sono più determinati dall’autorità ma da un concetto di lavoro di partecipazione, i lavoratori autonomi e i professionisti hanno piena dignità e hanno molto da dire in termini di propositività: si tratta di mettersi assieme per affermare che certe esigenze non possono che essere costruite in un percorso comune. Il sindacato non è l’unico interlocutore, ma voglio dire ai professionisti non ci devono sentire come un avversario: nel mondo del lavoro attuale il concetto di lavoro dipendente contrapposto alle libere professioni non ha alcun senso e il sindacato si propone per tutelare entrambe le forme. In una logica in cui il lavoro ha una dignità in se stesso, nell’uomo che lo intraprende e in ciò che vuole costruire, quest’uomo ha un interesse che lo accomuna ad altri uomini: ciò che serve è creare delle realtà che sappiano accompagnarlo in questo percorso lavorativo. Si raggiunge un peso non tanto per quanti si è in una determinata categoria, quanto per la capacità di esercitare un diritto e incanalarlo rispetto a bisogni ed esigenze comuni.