“L’obbligo di comunicazione al fisco di tutti gli acquisti di beni e di servizi effettuati da privati cittadini per importi superiori a 3.600 IVA inclusa (oltre che di tutte le operazioni tra imprese di importo superiore a 3.000 euro) è, nel panorama internazionale, una cosa più unica che rara. Evitiamo di dire che si tratti di una norma tutto sommato normale“. In una lettera pubblicata oggi dal Corriere della Sera, il presidente del Consiglio nazionale dei commercialisti, Claudio Siciliotti, si inserisce nel dibattito aperto sul quotidiano da un editoriale del 10 gennaio, nel quale Angelo Panebianco definiva la nuova norma, che obbliga un privato cittadino ad identificarsi con il tesserino di codice fiscale per poter procedere all’acquisto in un negozio, sostanzialmente poco liberale.
“Se siamo in una situazione di emergenza estrema – scrive Siciliotti – in termini di debito pubblico prima ancora che di evasione fiscale (perché il primo, pur essendo da sempre elevato, continua a crescere; mentre la seconda, pur essendo tuttora elevata, lo è certo meno di quanto non accadeva venti o trenta anni fa), siamo tutti disposti ad accettare soluzioni eccezionali, ma evitiamo almeno di fingere che si tratti di una norma tutto sommato “normale”, perché non lo è affatto: si parla tanto di lesione della privacy con le intercettazioni telefoniche e poi si introducono disposizioni simili“.
Nella lettera pubblicata dal quotidiano, Siciliotti risponde anche al presidente di Assosoftware, Bonfiglio Mariotti, il quale, sempre in riferimento al fondo di Panebianco, aveva sostenuto che l’invio telematico dei dati delle fatture, grazie al lavoro delle software houses, non è un complicazione per PMI e microimprese. “Per quanto riguarda invece gli adempimenti telematici collegati all’attuazione della norma – scrive Siciliotti – è indubitabile che le case di software pensano alla predisposizione di appositi moduli che si collegano a quelli contabili, dopodiché li vendono (non li regalano) ai commercialisti italiani, i quali si fanno carico dell’invio telematico dei sempre più numerosi file all’Agenzia delle entrate, senza che lo Stato preveda alcun tipo di compenso per questa attività telematica che non riguarda tanto la consulenza al cliente, ma lo svolgimento di un ruolo di front office a favore dell’Agenzia delle entrate“. “Come cittadini e liberi professionisti – conclude Siciliotti – ci sia quindi consentito di esprimere due volte la nostra fortissima perplessità: per la norma in se stessa e per il tentativo di affermare pure che non comporti particolari adempimenti e costi, perché li comporta eccome, seppure per alcuni quei costi sono invece graditi ricavi“.