Gli aspetti sostanziali della Pensione di reversibilità: natura e requisiti

La reversibilità viene definita come quella erogazione in denaro, da parte dell’istituto previdenziale, che al momento del decesso del pensionato (ex lavoratore dipendente), è attribuita ad alcuni soggetti, facenti parti della famiglia, ed in particolare il coniuge, i figli e, in specifiche ipotesi, anche ad altri partenti quali i nipoti, i genitori, i fratelli e le sorelle.

Le legge 898/1970 (articolo 9) sancisce che “in caso di morte dell’ex coniuge e in assenza di un coniuge superstite avente i requisiti per la pensione di reversibilità, il coniuge rispetto al quale è stata pronunciata sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio ha diritto, se non passato a nuove nozze e sempre che sia titolare di assegno ai sensi dell’art. 5, alla pensione di reversibilità, sempre che il rapporto da cui trae origine il trattamento pensionistico sia anteriore alla sentenza”.

Si evince da tale disposto che, il coniuge divorziato beneficia del diritto alla pensione di reversibilità, dell’ex coniuge defunto. Ciò avviene però, solo nel caso in cui sussistano i seguenti requisiti: il primo di essi è che il coniuge superstite, fosse già titolare dell’assegno divorzile. In virtù della natura assistenziale dell’assegno divorzile e del principio in base al quale, il vincolo di solidarietà non viene meno successivamente alla cessione del rapporto di coniugio, una quota della pensione del coniuge deceduto, dovrà servire a garantire al coniuge superstite, la possibilità di beneficiare di un importo in denaro che gli consenta di condurre una esistenza dignitosa.

Come stabilito in sentenza n. 7 del 2005 della Corte dei Conti, il diritto alla corresponsione della pensione di reversibilità, sorge semplicemente in virtù del fatto che la sentenza di divorzio abbia sancito il diritto a beneficiare dell’assegno divorzile, anche se effettivamente e concretamente, l’importo disposto non sia mai stato corrisposto dall’obbligato.

Il trattamento pensionistico di reversibilità trova il suo fondamento e la sua essenza nella solidarietà dovuta tra persone in precedenza legate da matrimonio, solidarietà che continua a spiegare i suoi effetti anche dopo la cessazione del vincolo e a prescindere dai motivi della rottura del rapporto coniugale. In tal senso, la pensione di reversibilità, spetta anche al coniuge superstite separato per sua colpa. La Corte Costituzionale ha infatti stabilito (in sentenza n. 15516/2003) che, il coniuge separato per colpa, o al quale la separazione sia stata addebitata, è equiparato, in tutto e per tutto, al coniuge superstite, separato e non, ai fini della pensione di reversibilità, atteso che opera in suo favore la presunzione legale di vivenza a carico del lavoratore al momento della morte, ed indipendentemente dalla circostanza che versi o meno in stato di bisogno o sia beneficiario di un assegno di mantenimento o altra provvidenza di tipo alimentare.

Ulteriore requisito richiesto affinchè possa sorgere il diritto a beneficiare della pensione di reversibilità, è rappresentato dal fatto che il coniuge superstite non si sia nel frattempo risposato e ciò in quanto, con le nuove nozze, il dovere di solidarietà morale ed economica passa in capo al nuovo coniuge.

L’ultimo requisito richiesto, è che il rapporto di lavoro da cui trae origine il trattamento pensionistico sia anteriore alla sentenza di divorzio. Comprendiamo in pieno il motivo di tale assunto, in quanto sarebbe iniquo che l’ex coniuge possa beneficiare di utilità e di attività che il de cuius ha generato dopo il divorzio ed in riferimento alla costituzione delle quali, il coniuge superstite non ha minimamente contribuito.

Cosa accade se al momento del decesso, il soggetto aveva contratto un nuovo matrimonio ? Si verifica in questo caso un concorso nei diritti del coniuge superstite e dell’ex coniuge divorziato. L’articolo 9 della legge 898/1970 stabilisce che “qualora esista un coniuge superstite avente i requisiti per la pensione di reversibilità, una quota della pensione e degli altri assegni a questi spettanti è attribuita dal tribunale, tenendo conto della durata del rapporto, al coniuge rispetto al quale è stata pronunciata la sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio e che sia titolare dell’assegno di cui all’articolo 5″.
Pertanto sia il coniuge divorziato, sia il coniuge superstite, hanno diritto a percepire una quota della pensione di reversibilità. Al ricorrere di tale ipotesi di concorso, sarà necessaria una decisione del Tribunale (da adire mediante ricorso) che stabilisca le quote spettanti a ciascun coniuge.
I criteri per orientare l’organo giudicante nella decisione sono:
– Il criterio temporale: criterio che valuta la durata legale dei rispettivi matrimoni, per cui la quota di pensione spettante ai coniugi concorrenti si determinava in modo matematico in riferimento e proporzionalmente alla durata del matrimonio. Il criterio temporale è stato l’unico applicato dai giudici sino all’emanazione di una nota sentenza della Corte Costituzionale, (numero. 419/99) la quale ha sancito che “…. In presenza di più aventi diritto alla pensione di reversibilità (il coniuge superstite e l’ex coniuge), la ripartizione del suo ammontare tra di essi non può avvenire escludendo che si possa tenere conto, quale possibile correttivo, delle finalità e dei particolari requisiti che, in questo caso, sono alla base del diritto alla reversibilità. Ciò che, appunto, il criterio esclusivamente matematico della proporzione con la durata del rapporto matrimoniale non consente di fare. Difatti una volta attribuito rilievo, quale condizione per aver titolo alla pensione di reversibilità, alla titolarità dell’assegno, sarebbe incoerente e non risponderebbe al canone della ragionevolezza, né, per altro verso, alla duplice finalità solidaristica propria di tale trattamento pensionistico, la esclusione della possibilità di attribuire un qualsiasi rilievo alle ragioni di esso perché il tribunale ne possa tenere in qualche modo conto dovendo stabilire la ripartizione della pensione di reversibilità… La ripartizione della pensione di reversibilità tra il coniuge superstite e l’ex coniuge deve essere disposta “tenendo conto” della durata dei rispettivi rapporti matrimoniali (art. 9, comma 3, della legge n. 898 del 1970). A questa espressione non può essere tuttavia attribuito un significato diverso da quello letterale: il giudice deve “tenere conto” dell’elemento temporale, la cui valutazione non può in nessun caso mancare; anzi a tale elemento può essere riconosciuto valore preponderante e il più delle volte decisivo, ma non sino a divenire esclusivo nell’apprezzamento del giudice, la cui valutazione non si riduce ad un mero calcolo aritmetico ..… La diversa interpretazione, che porta alla ripartizione dell’ammontare della pensione esclusivamente in attuazione di una proporzione matematica, non giustificherebbe, tra l’altro, la scelta del legislatore di investire il tribunale per una statuizione priva di ogni elemento valutativo, potendo la ripartizione secondo quel criterio automatico essere effettuata direttamente dall’ente che eroga la pensione, come avviene in altri casi nei quali la ripartizione tra più soggetti che concorrono al trattamento di reversibilità è stabilita in base ad aliquote fissate direttamente dal legislatore”.
– La necessità di valutare, oltre all’elemento temporale, anche ulteriori elementi trova la propria ratio nella natura assistenzialistica e previdenzialistica insita nel trattamento di reversibilità e, di conseguenza, nel determinare la ripartizione della pensione di reversibilità, il giudice dovrà tener conto anche, a titolo esemplificativo, dell’ammontare dell’assegno divorzile e delle condizioni economiche dei soggetti interessati, onde ottenere complessivamente il risultato più equo possibile.

Avv. Matteo SANTINI | m.santini[at]infoiva.it | www.studiolegalesantini.com | Roma

È titolare dello Studio Legale Santini (sede di Roma). Il suo Studio è attualmente membro del Network LEGAL 500. || È iscritto come Curatore Fallimentare presso il Tribunale di Roma; Presidente Nazionale del Centro Studi e Ricerche sul Diritto della Famiglia e dei Minori; Membro dell’AGIT (associazione avvocati Giusconsumeristi); Consigliere Nazionale AGIT (associazione avvocati Giusconsumeristi); Responsabile per la Regione Lazio dell’Associazione Avvocati Cristiani; Membro dell’I.B.A. (International Bar Association); Membro della Commissione Osservatorio Giustizia dell’Ordine degli Avvocati di Roma; Segretario dell’Associazione degli Avvocati Romani; Conciliatore Societario abilitato ai sensi del Decreto Legislativo n. 5/2003; Direttore del “Notiziario Scientifico di Diritto di Famiglia”; Membro del Comitato Scientifico dell’ A.N.A.C. || Autore del Manuale sul trasferimento dell’Azienda edito dalla Giuffré (2006); Co-autore del Manuale sul Private Equity (2009 Edizione Le Fonti). || Docente di diritto e procedura penale al Corso in Scienze Psicologiche e Analisi delle Condotte Criminali (Federazione Polizia di Stato 2005). || Collabora in qualità di autore di pubblicazioni scientifiche con le seguenti riviste giuridiche: Diritto & Giustizia (Giuffré Editore); Corriere La Tribuna (Edizioni RCS); Notiziario Giuridico Telematico; Giustizia Oggi; Associazione Romana Studi Giuridici; Il Sole 24 Ore; Studium Fori; Filo Diritto; Erga Omnes; Iussit; Leggi Web; Diritto.net; Ius on Demand; Overlex; Altalex; Ergaomnes; Civile.it; Diritto in Rete; Diritto sul Web; Iusseek.