L’Osservatorio Aub (composto da Aidaf-Unicredit-Bocconi), ha realizzato un interessante studio curato da Guido Corbetta e Alessandro Minichili circa l’aumento della redditività per le imprese, specie familiari, capitanate da giovani manager. In realtà lo studio, contestualizzato sulla realtà italiana, allarga un po’ quello che è il limite di gioventù, arrivando alla soglia degli under 50. Ad ogni modo, dalla ricerca, su 2.550 imprese familiari che superano i 50 milioni di euro, è emerso che imprese che hanno alla guida persone sotto i 50 anni riescono a raggiungere risultati, in termini di reddività, migliori rispetto a quelle che hanno leader oltre i 60 anni d’età. L’indice di riferimento Roe (che misura la perfomance aziendale) di imprese con leader giovani è pari al 12%, mentre la media per le altre aziende familiari è dell’8,6%. Dai dati risulta che a incidere è anche il tempo di permanenza al vertice. Le performance più brillanti si registrano nell’arco dei primi 6-10 anni, cui segue un lento declino. Anche per questo motivo, determinare per tempo e con accortezza la successione all’interno delle aziende familiari è fondamentale per evitare di disperdere i risultati raggiunti sino a quel momento.
Altro dato di distinguo tra aziende familiari e non si rinviene nell’occupazione. Nel 2009, considerato anno di crisi, l’occupazione nelle aziende familiari sale di un più 0,8%. Dato minimo ma decisivo se confrontato a quello delle società statali e degli enti locali (-3,5%) e soprattutto al -20% delle multinazionali e al -33,6% dei consorzi e delle cooperative. Il motivo di tanta differenza? Le imprese a carattere familiare hanno una visione di lungo termine, incentrata sul rapporto con i territori in cui si insediano e guidate da maggiore responsabilità e senso civico. Quindi più ricorso alla cassa integrazione, ma meno licenziamenti e incentivi per la buona uscita. Mentre al vertice, dunque, il ricambio è necessario per migliorarsi, nella gestione del personale la parola d’ordine è continuità.