Riportiamo una discussione promossa da Marika Mannino sul gruppo “il Commerciale – the Salesman” su Linkedin.
Trasformare i nostri pensieri in parole non è semplice. Controllare il nostro corpo, una fatica disumana.
I movimenti e la gestualità derivano da fattori psicologici e culturali che spesso ci portano ad esprimere significati opposti alle nostre parole. Un po’ come quando al ristorante il nostro stomaco desidera una bistecca e al cameriere chiediamo: “Un’insalata scondita, grazie!”.
Di fronte ad un cliente le nostre parole possono essere assertive e convincenti ma se qualcosa ci sta turbando in quel momento, il nostro corpo può esprimere ansia, nervosismo o addirittura rabbia.
Quando si parla di comunicazione, infatti, si pensa immediatamente alla comunicazione verbale, e cioè all’utilizzo che quotidianamente facciamo del linguaggio parlato e scritto.
In realtà, nell’interpretazione di un messaggio, la comunicazione verbale incide per un massimo del 7%. Il 38% lo esprimono il tono, il ritmo e il volume della nostra voce (la cosiddetta comunicazione paralinguistica) e il 55% lo esprime il nostro corpo.
Nello specifico, la sola gestualità delle mani esprime forti segnali comunicativi.
Non credo però che si possa dare un preciso significato ad ogni movimento delle mani. Spesso ad esempio, durante un colloquio di lavoro tendiamo a nascondere le mani per evitare di svelare il nostro stato emotivo, ignorando che questo controllo sulla gestualità potrebbe essere valutato in maniera negativa e interpretato come segno di personalità timida e introversa e per questo non adatta alla posizione per cui ci siamo candidati.
I nostri gesti, oltre che a rivelare le nostre emozioni, possono aiutarci a rinforzare la comunicazione verbale e porre l’accento sugli argomenti più importanti.
Noi italiani del resto, siamo i maestri della gestualità. Uno per tutti, il caso in cui per rafforzare il concetto: “Ma chi ti ha chiesto niente!” o “Cosa vuoi?” facciamo oscillare la mano con le dita a grappolo rivolte verso l’alto.
“Noi italiani nel mondo abbiamo una marcia in piu nel settore commerciale rispetto ad altri proprio per la gestualita’ e i movimenti i cui obiettivi sono non solo di trasmettere il messaggio in modo piu’ diretto ma anche di coinvolgere e interessare il nostro interlocutore nella nostra conversazione”.
Commento di Luca Bucchianica
Controllare il corpo, significa anche stabilire qual è la distanza fisica che adottiamo nelle relazioni interpersonali. Se durante una transazione di vendita ci avviciniamo in modo inappropriato al cliente, rischiamo di vanificare la nostra comunicazione verbale causando irritazione e stress nel nostro interlocutore e mettendolo sotto pressione.
È per questo motivo che la cosiddetta distanza “sociale”, che va dai 75 ai 120 cm, è quella che ci porta a stabilire un contatto comunicativo senza causare disagio.
Se con il nostro interlocutore, invece, abbiamo stabilito nel tempo un rapporto di fiducia, la distanza “personale”, che si misura con la lunghezza delle nostre braccia tese in avanti, è quella che ci verrà più naturale assumere.
Ma le nostre differenze culturali fanno sì che la prossemica, la disciplina che studia la distanza nelle relazioni interpersonali, non possa incasellare questi comportamenti in maniera assoluta.
Lo spazio fisico personale, infatti, non è uguale per tutti e dipende, oltre che dal nostro temperamento anche dal retaggio culturale.
Per la cultura araba, ad esempio, la transazione commerciale deve avvenire all’interno di uno spazio ravvicinato. Situazione opposta nel caso dei Giapponesi o dei Coreani che riterrebbero sconveniente l’invasione del loro spazio personale.
Per non parlare delle differenze di genere: gli uomini prediligono un avvicinamento laterale mentre le donne preferiscono rapportarsi frontalmente.
“Allenatevi a gestire le Vs espressioni facciali involontarie, e prestate attenzione al primo incontro nel caso in cui il vs interlocutore vi porta a prendere un caffè e vi parla di argomenti apparentemente lontani dal vs principale obiettivo, “Vi sta studiando nella gestualità e nelle risposte positive e negative”.
Commento di Gianluigi Dolce
“Impossibile non affermare che il tempo che passiamo nel lavoro è parte della nostra vita e credo che talvolta un pò di educata ma sincera spontaneità sia un bellissimo biglietto da visita e viene sempre ben accolto. Vendere, acquistare , transare sono non solo azioni ma anche emozioni e non dobbiamo a mio avviso essere sempre freddi ma anzi cercare di carpire la fiducia del nostro interlocutore esprimendo una sincera curiosità per la sua persona . Lavorare è parte della nostra vita cerchiamo di essere sempre noi stessi , in modo educato e rispettoso del nostro prossimo ,ma senza tradire il nostro essere più profondo. Alcune trattative vanno male , non solo per una vicinanza troppo stretta ma soprattutto per quel sorriso di benvenuto che abbiamo negato.Aprirsi all’altro lealmente fa ottenere maggiore attenzione su di noi e sul prodotto che offriamo” .
Commento di Emilia
In ogni caso, controllare eccessivamente il nostro corpo e le nostre espressioni vuol dire perdere la spontaneità nelle relazioni interpersonali. Vuol dire indossare una pesante corazza che ci spoglierebbe della nostra personalità rischiando di inibire la sensibilità e l’intuito che spesso determinano il successo del nostro lavoro.
Meglio senza dubbio spostare l’attenzione da noi stessi agli altri. Meglio senza dubbio andare dove ci porta il corpo.